Daniele Conti, tra il Perugia e la B

12/12/2008 alle 14:51.

IL ROMANISTA (ODDI) - "Ho sempre detto che mi farebbe piacere tornare alla Roma, ma mio padre lavora in società. Certo, non passerei come raccomandato, perchè sul campo ho dimostrato il mio valore, ma è una cosa che comunque mi dà fastidio. La penso così e nessuno mi farà cambiare idea". Era il campionato 2004-05 quando Daniele Conti si precluse in questo modo la possibilità di tornare a casa, e ci voleva del coraggio: era il suo primo campionato da titolare in serie A, aveva il contratto in scadenza a giugno, e un presidente


come Cellino, con cui ci vuole poco a passare da inamovibile a indesiderato. Tre anni dopo, in Sardegna, c’è il Cagliari Club Daniele Conti, Cellino lo ha fatto diventare il più pagato della squadra - 350.000 euro a stagione, più o meno gli stessi di Okaka - e Spalletti ha adottato un modulo con tre centrali di centrocampo che gliavrebbe consentito di fare il titolare, senza incappare in paragoni scomodi con e Pizarro.


Ora che il Brighi tuttofare di Chievo ha

avuto la consacrazione che meritava, il centrocampista

più sottovalutato del calcio italiano rimane

lui, una carriera da protagonista nel settore

giovanile, nel tentativo disperato di non essere

solamente il figlio di Bruno.

Carlos Bianchi, nel tentativo ancor più disperato

di lasciare un qualcosa di positivo,

quando Candela era ancora un oscuro terzino

del Guingamp, posò l’occhio sulla Primavera:

esordirono in tre, due diciannovenni, Andrea

Conti e Fabrizio Romondini, ma il primo a riuscirci

fu il più giovane, il secondogenito di Bruno,

non ancora maggiorenne, lanciato nella

mischia in un noioso 0-0 di novembre (24,

1996), al posto di un altro ragazzo cresciuto a

Trigoria, Antonino Bernardini. Uno finì all’Albacete,

nella serie B spagnola, in cambio di una

scommessa data per persa troppo presto, Ivan

Helguera, l’altro al Carpi, il più giovane rimase

a Roma, andandosene solo per la serie A, per

quella Sardegna in cui ha ormai messo radici.

Capitò nell’estate del ’99, trasferimento temporaneo,

divenuto definitivo un anno dopo, quando

Jonathan Zebina fece il percorso inverso, nel

frattempo fece in tempo a portare la Primavera

di Aldo Maldera alla finale scudetto, poi persa

con l’Atalanta di Vavassori, Colombo, Bellini e

Cristiano Zenoni. Persa senza colpe: il giorno

della finale era squalificato, per somma di cartellini.

A centrocampo con lui c’era De Vezze,

l’anno successivo Zeman dette spazio a tutti e

due, ma il Daniele di Nettuno lo sfruttò meglio:

il 5 dicembre del 1998, contro il Perugia, partì

titolare, con Di Biagio in panchina, e trovò il gol

del 2-1, di testa, su calcio d’angolo. Finì 5-1, ma

fu espulso per doppia ammonizione nel corso

della ripresa, secondo rosso stagionale dopo

quello rimediato a San Siro contro il Milan. Errori

di gioventù, pagati con quattro stagioni in

B, ricordi ormai lontanissimi per un centrocampista

che nell’ultimo anno e mezzo ha già

segnato 7 gol