BALDANZI: "Dovevo fare più gol e assist. Ranieri ha riportato serenità e gioco, De Rossi si spese molto per portarmi a Roma"

28/05/2025 alle 13:10.
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CRONACHE DI SPOGLIATOIO - Tommaso Baldanzi ha rilasciato un'intervista in cui ha raccontato la stagione della Roma, partendo dall'arrivo di Claudio Ranieri: «Non so che pillola abbia usato per noi, ma ha toccato i tasti giusti. Ha riportato serenità e gioco: è stata una figura importantissima per noi, per dove eravamo e per come stavamo. Non credo ci sia stata proprio una chiave e forse proprio quella è la cosa bella. Sapevamo di doverci svegliare. Ci dicevamo: ‘Dobbiamo vincere più partite possibili per salvare la stagione’, non avevamo un obiettivo in particolare. E poi siamo arrivati a giocarci la Champions. Prima c’era tanta tristezza e rabbia. In questo spogliatoio ci sono calciatori veramente forti. Se non arrivano i risultati, già inconsciamente sei arrabbiato, figurati quando sei consapevole della tua forza. Ci siamo parlati più volte, era giusto farlo. Dovevamo dare una svolta. Ci siamo riusciti, non so se più per merito del mister, degli allenamenti o del duro lavoro. La cosa più bella è che abbiamo sempre provato ad uscirne da gruppo. Ranieri mi ha dato tante opportunità, ho sempre sentito la sua fiducia: anche non partendo titolare, ho giocato grandi spezzoni di gara, utili per la squadra e per mostrare le mie qualità».

Sul rapporto con De Rossi«Mi è dispiaciuto molto per l’esonero di De Rossi. È stato lui a portarmi qui, mi ha fatto capire subito quanto mi volesse. Ha dato l’opportunità a un ragazzo di passare da Empoli a una grande squadra come la Roma. Lavoravamo tanto insieme, sentivo quanto credesse in me. Si era speso molto per portarmi alla Roma. E poi era stata la prima persona che avevo conosciuto qui. Venendo da un posto piccolo come Empoli, il primo giorno in cui sono entrato a Trigoria, ho detto: ‘Oddio, 400 persone. Lavorano tutte qua?’. Mi è servito un attimo, mi sono sentito spaesato. E lui c’è stato per me».

Sul rapporto con Paulo Dybala«È una persona d’oro, davvero, oltre che il più forte con cui abbia giocato. Vorrei anche vedere…! In passato avevo detto che, paragonato a Dybala, in una scala da 1 a 10 io non c’ero proprio: ora forse qualche passo avanti l’ho fatto, siamo a due forse! Fare l’esordio entrando al suo posto è stato magico: avevo già giocato all’Olimpico contro la Roma, ma quando quella gente è dalla tua parte fa ancora più impressione. A settembre ho segnato il mio primo gol in giallorosso contro l’Udinese: volevo esplodere tutta la mia gioia sotto la curva, ma il momento era un po’ particolare. Ho pensato: ‘Forse è meglio di no’. Però gol e assist sono stati il mio punto debole quest’anno: ho fatto belle prestazioni, ma a livello personale avrei voluto fare di più».

Sul vivaio dell'Empoli«Noi ci scherziamo, ma il vivaio di Empoli è come un forno: ogni anno escono ragazzi fortissimi. Anche lì, non so quale sia la pillola giusta, ma il lavoro che fanno con il settore giovanile è incredibile. Ci sono persone, anche anziane, che curano tutto in maniera maniacale e il presidente Corsi è fantastico per questi aspetti. Empoli è una piazza perfetta per un giovane: ti danno la possibilità di crescere, di sbagliare. Altrove sarebbe molto più difficile emergere e alla lunga potrebbe penalizzarti. È stato un onore crescere in quel vivaio: mi hanno insegnato a stare al mondo. Sono stati 13 anni di pura gioia. Alcuni sono stati come dei secondi padri per me, li ringrazierò per sempre».

E ancora il soprannome che gli aveva dato Buscé, ‘il piccolo Buddah’, fino alle vittorie e ad Asllani: «A Empoli mi chiamavano ‘il Piccolo Buddha’. Era un soprannome che mi aveva dato mister Buscé in Primavera. Non sono mai riuscito a darmi una spiegazione. Me lo continuo a chiedere anch’io. In realtà, un motivo c’è, ma non l’ho mai capito. Con il mister ho avuto sempre un rapporto bellissimo, ci sentiamo ancora molto spesso. Insieme abbiamo vinto due Scudetti: il primo con l’U16. Ricordo ancora un suo discorso: ‘Tommy, devi credere di più in te e nei tuoi mezzi perché sei veramente forte’. Da lì, sono esploso, quelle parole mi hanno aiutato molto. E poi anche con la Primavera dove ho fatto in finale una doppietta all’Atalanta: si è chiuso un ciclo. Era un gruppo bellissimo, molto unito. Ci divertivamo davvero tanto. Nessuno avrebbe mai scommesso un euro su di noi, è stata una cavalcata stupenda. È stato bello finire in quel modo, prima che ognuno prendesse la sua strada. A Empoli condividevo la stanza con Asllani: abbiamo un bellissimo rapporto, ci sentiamo spesso, ma ancora non gli ho scritto per la finale di Champions. Non volevo rompergli. Gli voglio davvero bene, ma aveva un grande difetto: non sentiva le sveglie. Le fissava un’ora e mezza prima, così un giorno non ce l’ho fatta più e gli ho detto: ‘Fermati, fermati! Le metto io e ti chiamo’. Me lo ricordo ancora».

Quindi il gol a San Siro contro l'Inter e la scelta del 35 come numero di maglia: «Quando ho segnato a San Siro contro l’Inter non ci ho capito davvero più niente. Fare gol in uno stadio del genere è il sogno di ogni ragazzino. E poi non ha prezzo: quel gol ci ha fatto vincere la partita avvicinandoci al nostro obiettivo. La maglia numero 35? Ci sono molto legato adesso, ma all’inizio non c’era un vero e proprio motivo. Ero con i magazzinieri dell’Empoli, dovevamo sbrigarci e scegliere velocemente il numero perché dovevo andare in panchina. C’erano il 32, il 33 e il 35. Ero indeciso: ‘Non lo so, boh’. E uno di loro: ‘Dai, metto il 35’. L’anno dopo, quando ero in pianta stabile in prima squadra, gli ho detto: ‘Eh ormai avete deciso, mettete il 35’. C’era libero anche il 10, il mio numero preferito da bambino, ma ero sicuro: ‘No, abbiamo deciso il 35. Andiamo avanti con quello’. E quindi a Roma è venuto da sé prenderlo».

Dall'infanzia al tatuaggio per il nonno: «Sul braccio sinistro ho tatuato mio nonno e la scritta ‘You’ll never walk alone’. Non c’entra nulla il Liverpool, ma è una dedica a lui. Era l’unico un po’ appassionato di calcio. Mio padre ha giocato a basket, mia mamma non ci ha mai capito nulla. Ogni giorno mi portava a giocare, poi purtroppo se n’è andato. Ho dei ricordi incredibili con lui, per questo ho deciso di tatuarmelo. Ero un bambino difficile da gestire, un po’ agitato. Non mi piaceva la scuola. Ma non avevo neanche un idolo, un modello da emulare: sognavo semplicemente di riuscire a giocare a calcio. Non avrei mai immaginato di arrivare in una squadra del genere. Al massimo speravo di fare qualche presenza in Serie A. So di aver raggiunto un obiettivo molto difficile, che in tanti sognano. Ma non ‘ce l’ho fatta’ ancora».

Si passa al rapporto con Edoardo Bove«Io ed Edoardo siamo amici anche fuori dal campo. Mi ha aiutato tantissimo dal primo istante in cui ho messo piede a Roma. Ha pensato a tutto lui. Mi diceva: ‘Ti serve uno per trovare casa? Chiama qui. Oppure vuoi un ristorante? Vai qui, fidati’. Io venivo da un paesino piccolo, con due ristoranti. Figuriamoci».

Chiusura sulla Nazionale e sugli Europei in arrivo: «EURO2025 Sarà un torneo difficile, dopo un’annata pesante e contro squadre molto preparate. Anche qui, siamo a fine ciclo: dal prossimo anno non ci saremo più. A patto che ovviamente non ci chiami la Nazionale maggiore: sono stato convocato dal CT Mancini per lo stage, è stato molto bello ed emozionante. Ci teniamo a far bene: abbiamo sempre disputato delle grandi amichevoli o ottime partite nella fase di qualificazione. Ora vogliamo arrivare il più lontano possibile, non dico altro. Con l’U20 siamo arrivati in finale nel Mondiale del 2023 contro l’Uruguay: vorrei cancellare quella partita dalla mia testa. È stato un peccato, perché eravamo un gruppo in cui nessuno credeva: con il campionato ancora in corso, molti non erano potuti venire. Eppure abbiamo fatto benissimo, ci divertivamo, eravamo molto uniti perché siamo cresciuti insieme. È mancata davvero solo la finale».