Borja Mayoral: "Alla Roma Mourinho scelse altri giocatori, non ho avuto l'opportunità di dimostrargli niente"

30/04/2025 alle 15:25.
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L'ex calciatore della Roma Borja Mayoral, ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio. L'attaccante spagnolo ha ripercorso i suoi anni in giallorosso e parlato del diabete, patologia di cui soffre fin da bambino. Le sue parole: «La Roma? Venivo da due anni al Levante dove avevo fatto molto bene. Il Real Madrid voleva che rimanessi, ma quando il mercato stava per chiudere, il mio agente mi fa: ‘Hai un’offerta dalla Roma. Però, vedi tu… è una piazza difficile’. Non ho avuto dubbi: ‘Mi piacciono le sfide. Sono stato al Real, voglio giocarmela anche lì’. Mi sentivo pronto e poi desideravo con tutto me stesso una chance per scendere in campo con continuità».

Ad incidere sulla scelta è stata anche una telefonata con Fonseca«Dalla prima chiamata mi ha convinto. Lui stava facendo bene, aveva bisogno di un attaccante con caratteristiche un po’ diverse da quelle di Dzeko. È stata un’esperienza unica, indimenticabile». L’ambientamento è stato semplice: «In quella Roma c’erano tanti spagnoli: Pedro, Perez, Villar. Ci ritrovavamo spesso insieme per guardare le partite, mangiare o conoscere la città. E poi c’era gente come Dzeko, Mkhitaryan, El Shaarawy, Pellegrini: tutti ragazzi splendidi. Anche con Edin avevo un bel rapporto: parlavamo molto. Nella mia prima stagione ho fatto molto bene: giocavo pochi minuti, ma riuscivo sempre a segnare. È stato un peccato non aver vinto nulla, nonostante la semifinale di Europa League con il Man United. Poi tra infortuni e l’addio di Fonseca la mia esperienza è cambiata totalmente».

Con l’arrivo di Mourinho, Borja finisce ai margini della squadra: «La Roma voleva che rimanessi anche perché dopo i 17 gol del primo anno volevano usare la recompra. Ma Mourinho ha preferito prendere altri rinforzi, scegliere i giocatori per la sua rosa: non ho avuto la possibilità di dimostrargli niente. Credo di aver giocato 3 partite. Io e Villar, anche lui in prestito, siamo andati al Getafe: avevo troppa voglia di giocare e dimostrare quello che potevo fare».

Poi il passaggio sul diabete: «La mia vittoria più grande è non aver permesso alla malattia di spegnere i miei sogni. Credo che il diabete abbia cambiato più la vita ai miei genitori che a me. Io ero piccolo, non mi rendevo conto di nulla. Loro si sono dovuti abituare a controllarmi, a medicarmi, a regolare lo zucchero. Immagino sia stato brutto all’inizio, ma penso che abbiano fatto tutto nel migliore dei modi. Anche nei primi anni in cui giocavo a calcio io andavo periodicamente in ospedale, ma erano i miei genitori o lo staff del Real Madrid a fare tutto. Col tempo ho imparato a farmi da solo le punture, a controllare i miei dati glicemici e l’alimentazione. È una malattia che ti insegna a rispettarti sotto tutti i punti di vista. E oggi so di essere un punto di riferimento per molti: famiglie e bambini mi scrivono spesso. In futuro vorrei creare un’associazione per tutte quelle persone che faticano a reperire informazioni corrette o a curarsi. Ho già aiutato molta gente in Spagna e in Italia, è una cosa che faccio con piacere».

(cronachedispogliatoio.it)

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