Siamo convinti che Costinha e Maicon, due giorni fa, avranno riconosciuto il “loro” José Mourinho in quel cinquantottenne un po’ appesantito che sgroppava felice sotto la curva Sud per abbracciare i suoi ragazzi, dopo quel gol di El Shaarawy utile a santificare la panchina numero mille della carriera. La rete del Faraone gli ha fatto rivivere le emozioni di Manchester e Siena. Due vittorie di tappa che poi valsero il successo finale col Porto (la prima Champions) e l’Inter (il primo scudetto). Se questo sia una specie di segno del destino che adesso coinvolgerà la Roma, lo lasceremo affermare agli scaramantici. Non è un caso, però, che A Bola titoli: “Come i vecchi tempi” e il Mirror utilizzi un geniale: “The Special Run”. Gli esegeti del pensiero del portoghese lo raccontano più quieto rispetto agli anni rampanti. Possibile. In ogni caso Mourinho è ormai diventando il pifferaio magico di una città in amore, che solo fino a pochi mesi fa associava il suo nome a quello delle “ingiustizie” arbitrali nel testa a testa fra Roma e Inter del 2010, con Mou domenica che ricordava: «Eravamo noi la squadra più forte». Invece ora è lui l’idolo della tifoseria giallorossa, è lui quello che tutti credono faccia la differenza. Ha saputo scegliere i giocatori giusti (Rui Patricio e Abraham su tutti), ha saputo rigenerare calciatori poco convincenti (da Karsdorp a Carles Perez), ha convinto stelle al gregariato (Zaniolo), ha riportato a scuola baby con le stimmate da fenomeno (Villar, Calafiori, Reynolds)
(gasport)