RAI RADIO2 - Lionello Manfredonia, ex giocatore che nel corso della sua carriera ha vestito le maglie di Lazio, Juventus e Roma, ha rilasciato una lunga intervista in cui ha ripercorso la sua carriera parlando anche della scelta di trasferirsi nel club giallorosso dopo aver indossato la maglia biancoceleste. Queste le sue parole:
Il calcio senza pubblico mi riporta indietro nel tempo, feci una partita a porte chiuse in Champions col Verona, giocammo al Comunale, Juventus-Verona, senza pubblico togli tutta la passione che c'è nel calcio. Il pubblico aiuta molto i calciatori, la concentrazione la tieni proprio grazie al pubblico, quando non c'è nessuno rischi di perdere la concentrazione, ora infatti ci sono meno gol, i giocatori sono meno concentrati, senza pubblico l'effetto si sente".
Cosa fai ora?
"Vivo a Vicenza e ho aperto una accademia in cui insegno ai ragazzi a partire dal 2006 insieme ad un gruppo di allenatori molto formato la metodologia della tecnica individuale. Ora si lavoro molto sulla tattica e poco sulla tecnica, prima erano apprezzati i giocatori abili nell'uno contro uno, ora invece si fa molto poco nell'uno contro uno nei settori giovanili, non si ripete mai il gesto. I ragazzini devono tornare a imparare il gesto tecnico in maniera ripetuta, si fanno giochi collettivi a discapito della tecnica individuale".
Come si diventa professionisti?
"All'inizio c'è il talento. Poi servono fisico e qualità mentali. Sono molti i fattori".
La Lazio?
"Era il mio sogno da ragazzino. Giocavo al Don Orione, dall'alto vedevo lo stadio Olimpico e sognavo di esordire in quello stadio, con la Lazio. Ho avuto la fortuna di esordire in A a diciotto anni e in Nazionale a 21 anni, sempre all'Olimpico. Ringrazio Dio per avermi concesso quella fortuna".
La Juventus?
"L'avvocato mi voleva alla Juventus già quando avevo 20 anni, nel 1978, quando feci i mondiali in Argentina. Io scelsi di restare alla Lazio, a casa, viziato dalla città. Ho preferito rimanere a Roma ma ho sbagliato. Sono arrivato alla Juventus a 28 anni e mi sono tolto la soddisfazione di vincere una Coppa del Mondo e un Campionato".
La Roma?
"Stavo benissimo a Torino, avevo fatto un grandissimo campionato, purtroppo non mi misi d'accordo con Boniperti per il nuovo contratto. Volevo tornare a casa, a Roma, ho accettato l'offerta dei giallorossi ed ho sbagliato. Si spaccò addirittura la Curva Sud. Sicuramente ho un ricordo doloroso. Io pensavo essendo un professionista che le cose andassero bene, il tifo invece ha avuto una reazione negativa, si è scissa la curva, poi le cose sono migliorate. Era difficile vivere la città, ho scontentato entrambe le tifoserie e di questo me ne pento, i laziali ce l'avevano con me e i tifosi della Roma anche. Non ho rispettato il sentimento popolare e me ne pento. Ma il professionista deve giocare dove viene chiamato. Sotto casa non mi hanno mai aspettato, mi contestavano agli allenamenti, sia quando si vinceva che quando si perdeva. Una volta feci gol all'Inter e non andai sotto la curva per esultare, perché mi avevano detto di non andare mai sotto la curva. A Torino c'è un approccio diverso al calcio. Se perdevamo una partita con la Roma o con la Lazio avevamo i tifosi che ci tiravano le pietre, a Torino avevamo solo un gruppo di pensionati che guardavano gli allenamenti".
Il malore in campo?
"Ebbi un arresto cardiaco, dovuto forse alla temperatura molto fredda di quella giornata, e allo stress che avevo dentro. Era mia morta mia madre da poco, si giocava Bologna-Roma. Ho esordito contro il Bologna all'Olimpico con la Lazio e ho finito a Bologna con la maglia della Roma. Ho somatizzato la morte di mia madre, troppo. Per me fu una tragedia inaspettata. Ma dopo ho fatto tutti gli esami e non è emerso nulla. Ero perfettamente sano. Ho avuto uno svenimento, sono stato giorni in coma in ospedale, quando mi sono risvegliato la mia vita era cambiata completamente. Poi mi sono ricreato un'altra professione".
Il calcioscommesse?
"Secondo me la pena è stata eccessiva, siamo stati tre anni squalificati, io e Giordano, che eravamo insieme e inseparabili, potevamo avere una condanna per omessa denuncia. Non ci andava di denunciare certe persone, frequentavamo questo locale, abbiamo sbagliato, era un ristorante, abbiamo commesso questo errore di superficialità. Ma partite in cui non ci siamo impegnati non ci sono state. Il mio rapporto con Bruno? Eravamo fratelli, io venivo da Don Orione, lui da Trastevere, ci incontrammo alla Lazio da ragazzini e da lì abbiamo giocato sempre insieme, esordendo insieme anche in Nazionale. Siamo tutt'ora in ottimi rapporti".
Sulla sudditanza psicologica degli arbitri.
"Se cambia qualcosa quando giochi con la maglia della Juve? Secondo me no. Quando andai alla Juve il primo anno pensavo che gli arbitri non mi avrebbero mai ammonito, invece saltai otto partite per somma di ammonizione. La casacca che indossi non c'entra niente, gli arbitri cercano sempre di essere equilibrati".
Sull'omosessualità nel calcio.
"Non l'ho mai incontrata. Ma se esistesse non sarebbe un problema. Forse all'epoca qualche problemino ci sarebbe stato, ora non ci sarebbero problemi. Davanti a un coming out non ci sarebbero problemi".