SOCCERMAGAZINE - L'ex portiere della Roma, Julio Sergio, ha parlato a proposito della sua esperienza in giallorosso, del futuro, e soprattutto dell'addio di Daniele De Rossi. Queste le sue parole:
Julio Sergio e l’Italia, un rapporto non solo calcistico in virtù della tua doppia cittadinanza: che ricordi hai della tua esperienza nel nostro Paese?
"Sono i migliori, no? È stata una grandissima sfida per me arrivare lì a Roma e fare quello che ho fatto. Sono arrivato per fare il provino, dopo sono rimasto quasi 8 anni in Italia, poi essere protagonista in determinati momenti con la maglia della Roma è un onore, quindi sono ricordi importantissimi per me. I miei figli sono nati a Roma, quindi è un legame che non finirà mai".
C’è una partita in particolare che ricordi con più piacere o che è stata più difficile per te?
"Facciamo una con più piacere e una più difficile. Quella con più piacere è sicuramente quel derby che abbiamo vinto 2-1 per tutto quello che è successo in partita e per com’è andata alla fine. Poi con amarezza quella partita con la Samp dove forse abbiamo perso quello scudetto".
Ieri la Lazio ha vinto la Coppa Italia. Tu l’hai vinta due volte con la Roma, oggi tocca ai cugini. Cosa pensi della formazione biancoceleste? Questa vittoria salva la loro stagione?
"Io guardo poco la Lazio. Ho guardato ieri perché era una finale. Vincere è sempre buono, poi l’allenatore della Lazio è da tanto tempo che è lì e fa un lavoro abbastanza buono con quello che ha in mano come calciatori. Dobbiamo fare i complimenti a loro e cercare di andare avanti".
Prima esperienza alla Roma sotto la guida tecnica di Spalletti: che allenatore è stato con te?
"Con me è stato una persona perbene, corretta. Come ho detto già altre volte ha chiesto lui di tenermi in rosa. Quando ho fatto il provino mi ha trattenuto lui, dopo mi ha fatto rinnovare il contratto tre volte, quindi non è poco quello che ha fatto lui. Dopo, se giocavo o non giocavo, era una scelta sua, tecnica, e che dovevo rispettare. È stato uno abbastanza importante per me".
Sicuramente sai che sono due giorni che non si fa altro che parlare di Daniele De Rossi. Un pensiero su De Rossi come uomo e uno sul suo addio?
"Come uomo ricordo la prima partita che ho fatto, in cui lui mi ha detto che ragazzi come noi dovevano vincere. Appena finita la partita, lui mi ha salutato e mi ha detto questo. Poi lui ha il suo carattere, la sua personalità e tante volte ha preso responsabilità di cose che non doveva fare perché lui è così, lui vuole il bene della Roma. Poi, su questo momento forse ho un’opinione un po’ diversa dagli altri: l’età arriva per tutti. Cioè, ha smesso Totti, è andato via Daniele, ma la Roma continua. La Roma non finirà mai".
Quindi condividi la scelta della società di questo ricambio generazionale?
"No, non è questo che condivido. È arrivato il momento. Loro hanno preso una decisione, di cui poi dovranno rispondere, però non esiste un calciatore che è eterno. Alla fine il tempo passa per tutti. Ed è passato per Francesco – che non ci sarà mai più uno come lui – e per Daniele – che forse non ci sarà mai più uno come lui, però la società è ancora viva. A me fa piacere che loro hanno tutta questa voglia di far sentire amato Daniele, ed è importante perché è uno che ha fatto la storia della Roma e del calcio italiano, però è arrivato il momento. Zidane è stato venduto una volta, Ronaldo è stato venduto una volta, Kakà è stato venduto una volta, e altri hanno smesso, ma alla fine il calcio continua. E anche la vita di Daniele continuerà, la vita di Francesco continua. Dobbiamo essere meno passionali in questo momento e pensare a come fare per far vincere la società, la squadra. Sono sicuro che Daniele sarà contento se la Roma vince uno scudetto, che Francesco sarà contento se la Roma vince uno scudetto. Loro hanno dato il loro meglio quando erano lì, in campo. È questo che dobbiamo pensare: a vincere".
Sei rimasto molto affezionato alla Roma, ma nei momenti positivi della tua carriera c’è mai stata la possibilità di approdare in un altro grande club? Di fare una scelta diversa?
"Non lo so. Forse non dovevo andare a Lecce, sono andato con la testa sbagliata in un grandissimo posto – devo dire -, una città bellissima, avevamo una squadra forte, però io non avevo la testa giusta per andare lì. Se fossi rimasto a Roma magari la storia sarebbe potuta essere diversa, però adesso è molto facile perché ci sono state tante altre cose che mi hanno fatto prendere quella decisione. Potevo andare a Parigi, per esempio. Mi ha chiamato Leonardo per andare al Paris Saint-Germain in quel momento e io alla fine, per scelta mia, sono andato a Lecce perché c’erano altre possibilità dopo Lecce. Quindi questo, forse, potevo fare di diverso, però sono molto contento per quello che ho fatto. Tutto quello che magari ho sbagliato mi ha dato tante altre lezioni di vita".
Vuoi rimanere nel calcio come allenatore?
"Sì, sto facendo qui il corso di licenza A del Brasile, ho già fatto la licenza B lì in Italia. Questo è il percorso che io voglio fare, ho già preso qualche squadra qua, dove ci sono regole diverse. Da 4 anni faccio l’allenatore e sto imparando tantissimo. La mia voglia è di tornare nel calcio europeo, sicuro. In Italia sarebbe fantastico. Parlo la lingua, conosco il calcio, conosco le persone. Magari la Roma!"
E se ti dovesse chiamare la Lazio?
"Io sono professionista, ma la Lazio non lo so. Forse non riesco".