«Pure oggi ti ho fatto vedere di che pasta sono fatti i bergamaschi». C'è anche questo fra i messaggi che inchiodano Giorgio Saurgnani, il tifoso juventino arrestato con l'accusa di aver preso parte al lancio della bomba-carta allo stadio Olimpico di Torino lo scorso 26 aprile durante il derby della Mole.
Lo si ricava dalle motivazioni dell'ordinanza con cui il tribunale del riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione. L'ordigno ferì undici persone. Saurgnani, oggi detenuto a Bergamo, scambia spesso con un gruppo di amici (via smartphone) dei commenti su tafferugli negli stadi: se per il suo avvocato difensore i post sono soltanto «una forma di fanatismo surreale, vanaglorioso e privo di pericolosità», per i giudici sono lo «specchio di una allarmante esaltazione» e, nel caso della bomba, un indizio che giustifica la custodia cautelare. Nell'ordinanza si fa presente che il 19 aprile, pochi giorni prima del derby, un amico chiese a Saurgnani se aveva «bombe a casa», e il bergamasco rispose «no, prendile in America»: secondo il tribunale «parrebbe il soprannome di uno degli amici».
Nel documento si cita il frammento di una conversazione in cui un contatto di Saurgnani annuncia di stare per prendere un nuovo appartamento in un posto in cui non avrà la residenza anagrafica: «Sarà un rifugio, cioè quando uno di noi dovrà rendersi latitante dopo una partita verrete tutti a stare lì in casa mia, che però per lo Stato non è casa mia». Per ribadire la necessità di confermare il carcere per Saurgnani si riporta anche uno scambio di messaggi fra gli amici, il 24 aprile, via whatsapp: «Servono motorini per poter sparare e fuggire», «due colpi nel bar e poi uno sulle gambe a uno a caso». Quanto all'episodio della bomba, il 30 aprile Saurgnani ha commentato un articolo di un quotidiano sportivo, secondo il quale l'indagine si era conclusa con un nulla di fatto, con le parole «è andata bene anche stavolta». L'inchiesta, svolta dalla Digos, è stata coordinata dal pm Andrea Padalino.
(ansa)