IL SOLE 24 ORE - Il sogno giallorosso di un azionariato popolare che si affianchi alla famiglia Sensi (o a un'eventuale altra proprietà) comincia a prendere corpo con l'iniziativa di un pool di avvocati (lo studio Biamonti) e di banchieri (EnVent).
Un modello importabile in Italia? «Perché no, se questa iniziativa può contribuire ad allargare e rafforzare la proprietà, la vedo come positiva, come un'idea buona», risponde l'economista Pietro Reichlin della Luiss Guido Carli. «Naturalmente bisognerà verificare con attenzione la fattibilità concreta del progetto, ma potrebbe funzionare», continua il professore. «Il mercato calcistico spagnolo e quello italiano non sono così diversi. Certo, la Roma parte da un livello più basso per quanto riguarda la prosperità economica e la forza calcistica, ma i presupposti perché nella Capitale si formi un cospicuo bacino di tifosi azionisti ci sono tutti». L'unico problema che ravvisa l'economista della Luiss è quello "politico-diplomatico".«In Italia essere proprietari di un'importante squadra di calcio ha un valore non completamente monetizzabile, ma è una questione anche di potere. Possedere una squadra di calcio conferisce un'aura speciale, garantisce fama e prestigio, fornisce possibilità superiori a quelle che si avrebbero senza». Non sembrano andare molto di moda in Italia gli imprenditori puri del calcio, ma, secondo il ragionamento di Reichlin, molto spesso si compra o si possiede una squadra per incrementare un prestigio di cui servirsi anche per altri tipi di affari. E la storia delle offerte lanciate per i club di calcio è ricca di questi esempi. La stessa AS Roma lo testimonia.
Parte da qui per esprimere alcuni dubbi più generali sull'operazione il professor Ernesto Felli, docente di Economia Politica all'università di Roma Tre. «Mi sembra che il contesto storico, economico e normativo italiano non faccia propendere per una soluzione in stile azionariato popolare. In Italia non abbiamo precedenti di questo tipo». Non è la piazza romana il problema, secondo Felli, anzi: il contesto della Capitale potrebbe essere favorevole a un coinvolgimento della società civile e della città in un'avventura calcistica di questo tipo. Ma, avverte il professore, «non è necessario ricorrere all'azionariato popolare per essere grandi e anche questa soluzione non può implicare automaticamente un balzo di competitività». L'operazione, ammette l'economista romano, è seducente e potrebbe essere un ottimo veicolo di marketing per il tifo stesso e la società, «ma forse anche l'attuale proprietà potrebbe lavorare di più sul lato promozionale, sfruttando l'unicità della città di Roma come traino». Da verificare, invece, la relazione tra l'eventuale cordata di tifosi-azionisti e la proprietà della famiglia Sensi: il problema della governance, insomma. Attualmente la società Roma è ben gestita dal punto di vista manageriale. È la controllante Italpetroli, della famigli Sensi, a essere indebitata con le banche (Unicredit in particolare, per oltre 300 milioni). Secondo Felli l'operazione, al di là del gossip e delle possibili ambiguità, può essere interessante per il suo valore di "sasso" lanciato nello stagno di un calcio a più livelli malato ma - avverte il professore - «è importante capire chi governa in ultima analisi l'operazione, altrimenti potrebbe sembrare una manovra per preparare il terreno a qualcun altro».