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LA ROMA - Questa la lunga intervista al neo giallorosso Nicolas Burdisso, che riportiamo nella versione integrale. Ben arrivato in giallorosso, Nicolas. È un onore farti conoscere ai nostri tifosi con la tua prima intervista esclusiva. Partiamo da te: tutto iniziò nel 1981... «Il 12 aprile precisamente. Luogo di nascita Altos de Chipiòn, Argentina, nella provincia di Cordoba».
Ben arrivato in giallorosso, Nicolas. È un onore farti conoscere ai nostri tifosi con la tua prima intervista esclusiva. Partiamo da te: tutto iniziò nel 1981...
«Il 12 aprile precisamente. Luogo di nascita Altos de Chipiòn, Argentina, nella provincia di Cordoba».
Paese con molti immigrati italiani, se non erro.
«Assolutamente, nel mio paese sono quasi tutti originari del vostro paese, Piemonte in primis. Anche i miei nonni: da Collegno e da Revello. Arrivarono
lì il secolo scorso: è un posto con poco più di mille abitanti, ma io ci torno spesso con piacere a trovare i miei che sono ancora li».
Parlaci allora un po' della famiglia Burdisso...
«Nel mio paese quasi tutti fanno gli agricoltori, anche se non i miei genitori: sono infatti entrambi insegnanti. A casa, poi, eravamo tanti: ho infatti anche 2 sorelle e 2 fratelli».
Infanzia tranquilla in campagna, quindi: passioni giovanili?
«Sport, in ogni salsa. Mio padre Enio insegnava educazione fisica e allora puoi immaginare come mi abbia fatto provare un sacco di discipline diverse, dal nuoto al basket. E ovviamente il calcio...».
Passione più forte delle altre, immagino: qual era la tua squadra del cuore? E gli idoli che ammiravi da bambino?
«lo sono sempre stato tifoso del Boca, come tutti in famiglia. A dir la verità, proprio negli anni della mia crescita la squadra non era al massimo del suo splendore, anche se l'idolo assoluto, fuori dal tempo, era assolutamente uno, Diego Armando Maradona, ovviamente. Anche Batistuta mi piaceva molto: aveva iniziato proprio col Boca a segnare».
Un sogno che diventa realtà, quindi: nel 1996 arrivi proprio tra gli "xeneizes"...
«Avevo solo 15 anni quando sono arrivato a Buenos Aires: città grande, squadra importante, era tutto nuovo per me. Eravamo tanti giovani promettenti e sono orgoglioso di essere stato uno dei primi ad arrivare tra i "grandi", insieme a Battaglia».
L'esordio "con i grandi" è datato 1999: ricordi di quel giorno?
«Certo: era una gara contro l'Instituto, che tra l'altro, nemmeno a farlo apposta, era l'ex squadra di mio padre che in passato aveva giocato Ti! Quando Carlos Bianchi mi mandò in campo fu una gioia immensa».
Il 2000, poi, fu un anno d'oro: campionato, Libertadores e Coppa Intercontinentale.
«Una stagione a dir poco fantastica, con una squadra piena di qualità tecniche importanti, a partire da Riquelme. In avanti, poi, avevamo Martin Palermo, che con il gol ha sempre avuto un feeling particolare. Infatti i gol della vittoria a Tokyo nell'Intercontinentale contro il Real Madrid furono entrambi suoi».
Nel 2003 ancora lo stesso tris: che Boca era rispetto a quello del 2000?
«Una squadra con forse meno tecnica ma più determinazione e concretezza. In Libertadores vincemmo in finale col Santos mentre in Intercontinentale battemmo il Milan ai rigori... un bis davvero speciale».
Cosa ha significato per te vincere con i "bosteros"? Spiegaci un po' la magia della "Bombonera", il mitico stadio dei gialloblu...
«Il Boca è un mito mondiale, non solo in Argentina: per le vittorie, lo stadio in cui gioca, il pubblico, i giocatori che ha avuto. Per me, tifoso dalla nascita, giocare con la maglia gialloblu è stato davvero meraviglioso, non posso negarlo».
Nico, imparerai presto a conoscere anche l'Olimpico! Ma torniamo a te: dopo il Boca, nel 2004 la chiamata dell'lnter...
«Dopo i successi in Argentina, decisi di andare a Milano per proseguire a vincere. E così è andata, in effetti».
Cinque anni alla Pinetina: che voto dai all'esperienza nerazzurra?
«Sono state stagioni importanti a cui assegnerei un 10, sotto il profilo sia sportivo che umano. Ho sempre dato il mio apporto, ogni volta che sono stato chiamato in causa e non ho nulla da rimproverarmi».
Solo l'inizio non fu facile, a causa di una situazione molto particolare e privata che hai vissuto sulla tua pelle...
«Non ho problemi a parlarne, anche perché fortunatamente si è risolta positivamente: nel 2004 è stata diagnosticata a mia figlia Angelina una leucemia e allora, dovendo sottoporsi a un ciclo di 8 mesi di chemioterapia inArgentina, ho deciso di comune accordo con la società, di lasciare il calcio giocato e tornare in patria per stare vicino a lei. L'Inter mi è stata davvero vicina e mi ha aiutato molto in quel periodo».
Come ti ha cambiato quell'esperienza?
«Ho scoperto un mondo che prima non conoscevo. Dal punto di vista personale ho fatto semplicemente tutto ciò che ogni genitore farebbe per il proprio figlio. Una cosa davvero straordinaria l'ha fatta invece proprio Angelina, che ha dimostrato una forza d'animo incredibile».
Tornando al campo, nei tuoi anni nerazzurri la "sfida dell'anno" è stata praticamente sempre quella con la Roma: quale gara con i giallorossi è stata la più bella?
«L'l-1 di San Siro in cui Zanetti pareggiò al 90': per la mia ex squadra fu una gara decisiva dato che, con una sconfitta, Totti&Co. si sarebbero riportati molto vicini. Ma penso che negli anni quasi tutte le partite tra le due squadre siano state emozionanti e spettacolari, visto che tra le due compagini c'è sempre stato in campo un bell'equilibrio. Oltre al campionato, infatti, sono state tantissime le sfide in Supercoppa e in Coppa Italia, comprese tante belle finali».
Negli anni nerazzurri hai giocato contro Totti, Vucinìc, Baptista... chi ti ha messo più in difficoltà?
«Totti, ovviamente: è unico, un giocatore fantastico che adesso ho la fortuna di avere dalla mia parte e non contro. Ma anche Vucinic ha dimostrato sempre le sue qualità nelle nostre sfide ed è in continua crescita. E pure Baptista nel primo anno qui ha fatto vedere buone cose».
Ma veniamo alla Roma: sei stato acquistato il 22 agosto e il 23 subito in campo a Marassi...
«Mi dispiace per il risultato dell'esordio, anche se personalmente penso di aver disputato una buona gara. Ero molto emozionato, davvero: la Roma era la mia sola scelta».
Perché?
«Perché all'lnter stavo bene: giocavo spesso, Mourinho mi voleva in rosa e non avrebbe avuto senso cambiare senza un motivo valido. La Roma, appunto, era per me il motivo valido per andare via: un club importante, che stimo e seguo da sempre, con tanti campioni in squadra e una bella organizzazione... la mia testa mi ha detto che questo era il passo giusto da fare per il proseguo della mia carriera. E così è stato».
Appena arrivato hai parlato di obiettivo Scudetto: si può, nonostante tutto?
«lo credo che, vista la squadra e i giocatori che ha, due per ruolo, la Roma ha le potenzialità per competere per il titolo e può giocarsela con tutti. Poi, ovviamente, sarà il campo il giudice più equo, quello che ci dirà la verità. Staremo a vedere...».
Da Milano a Roma: noti già delle differenze tra le città e tra i club?
«Penso che qui ci sia una qualità migliore della vita: oltre alla storia indiscutibile della città e ai suoi monumenti, trovo un clima più caldo e gente probabilmente più calorosa, un po' come in Argentina, lo, infatti, non sono un tipo freddo, mi piace fare gruppo e stare in mezzo alla gente. Non appena troverò casa trasferirò qui mia moglie Maria Belen e i miei figli Facundo, Angelina ed Emilia: immagino che si troveranno bene a Roma. Per quel che poi riguarda i club, mi piace che a Trigoria ci sia un folto gruppo di italiani, a differenza dell'lnter in cui eravamo un po' una multinazionale. Questo è infatti un altro dei motivi per cui ho scelto Roma: qui trovo la "vera Italia"...».
Nella conferenza stampa di presentazione hai detto: mi metto a disposizione. Giocherai quindi anche terzino, oltre che centrale?
«Premesso che ovviamente farò quello che deciderà il Mister, penso che qui alla Roma di esterni ce ne sono tanti, da Motta a Riise, fino a Cassetti e Tonetto e quindi immagino che verrò impiegato di più da centrale, dove peraltro la concorrenza non manca. Ma questa è una fortuna: solo nei grandi club non hai mai il posto sicuro! In ogni caso, sin dai tempi del Boca ho giocato sia da centrale che da terzino, la stessa cosa è capitata all'lnter e anche con la Nazionale: essere un jolly di difesa è una mia caratteristica».
A proposito di difesa: Burdisso,Mexes, Juan, Riise contro Maicon, Samuel, Lucio, Santon... una bella sfida, no?
«Due reparti assolutamente forti, manon posso dire qual è il migliore: del resto, le sfide degli ultimi anni sono state davvero equilibrate. Se vai a vedere, i nomi che mi hai citato sono tutti di calciatori che militano nelle rispettive Nazionali...».
Nella tua carriera hai fatto reparto con tanti difensori: qual è il più forte?
«Difficile scegliere, ma dico Walter Samuel, anche perché è quello che conosco da più tempo, avendoci fatto coppia insieme sia all'lnter che al Boca. Però, soprattutto a Milano, non abbiamo giocato tanto come duo di centrali perché io ero spesso utilizzato come terzino».
Nico, di derby te ne intendi: hai giocato Boca-River e Inter-Milan. Che sai di quello romano?
«Mentre quello di Milano è più uno spettacolo mondiale, quello romano mi sembra più vicino a quello di Buenos Aires, in quanto la rivalità è più sentita nella città. Immagino che anche qui, come quando ero al Boca, si parla del derby per tutto il mese che precede la partita e poi in campo è una bella lotta e sugli spalti uno spettacolo».
Quindi, fai parte di quei giocatori che pensano che il derby è una partita "diversa" dalle altre?
«Certo, ma mentre nei Boca-River non riuscivo a trasformare bene in campo la carica emotiva che avevo dentro, nelle stracittadine di Milano devo dire che sono riuscito a dare di più. Probabilmente perché il fatto di essere tifoso di una squadra in partite del genere ti carica troppo, bloccando in parte le tue potenzialità».
A proposito di fan, che rapporto hai in genere con loro: sei un tipo disponibile o riservato?
«Sono un ragazzo aperto, come dicevo, anche nel rapporto con il pubblico: so poi cosa significa essere tifoso e cerco quindi di ricambiarli dando il 100% in campo, perché è quello che ogni buon appassionato vuole da ogni suo giocatore».
Finora hai giocato in Champions, Libertadores e Intercontinentale: che pensi dell'Europa League?
«Sarà un'esperienza nuova e, anche se non è la Champions, so che quesfanno l'UEFA ha dato più importanza e valore a questa competizione. Inoltre la Roma è una delle squadre favorite, con una rosa di grande qualità, e sarà quindi stimolante giocare e sapere che tutti ti vedono come l'avversaria da mettere».
Nicolas, sei un giocatore che ha vinto tantissimo, 18 trofei in carriera: sai quindi bene qual è il segreto del successo...
«L'aver vinto non è importante se, quando si arriva in un nuovo ambiente, non si ha la voglia e la volontà di proseguire a farlo. Le vittorie ti servono come esperienza, ma in ogni contesto nuovo si deve crescere sempre: così è accaduto quando sono arrivato al Boca, lo stesso quando sono giunto all'lnter e quindi accadrà ora che sono qui a Trigoria. Ripeto, sono convinto che questo passaggio da Milano a Roma sia quello giusto per continuare al meglio la mia carriera e sono sicuro che, lavorando bene e con la mentalità giusta con questo gruppo, possiamo fare cose importanti anche qui».
Premesso che vincere è sempre bello, qual è la vittoria che ricordi con più gioia?
«La vittoria a Tokyo contro il Milan ai rigori nel 2003, una gioia indescrivibile anche perché non eravamo favoriti. Poi non dimenticherò mai l'oro alle olimpiadi di Atene nel 2004 e anche l'altro successo in Coppa Intercontinentale del 2000 contro il Real Madrid. Ma, come dici tu, ogni successo ha un sapore diverso e a suo modo speciale...».
Chiudiamo con il capitolo Argentina: il tuo rapporto con la maglia della "Albiceleste" è praticamente ininterrotto da sempre... come va la squadra con Maradona CT?
«È vero, ho sempre avuto l'onore di difendere i colori del mio paese. In Nazionale maggiore il passaggio da Pekerman al nuovo tecnico ha portato molti cambiamenti, come normale che sia. Penso che Maradona ha saputo gestire molto bene un gruppo pieno di campioni: non è facile tenere in panchina o comunque ruotare una rosa così importante. Il fatto di aver giocato tanto in Italia col Napoli lo ha sicuramente influenzato nel modo di impostare la squadra in campo. Tutti noi abbiamo molta fiducia in lui, anche perché è bravo a usare le parole giuste con ognuno di noi».
Nel 2006 in Germania sei stato titolare: arrivare a Roma è la scelta giusta per ripetersi anche in Sudafrica?
«Anche Bruno Conti, appena arrivato qui, mi ha detto la stessa cosa, ma io penso che le due questioni non siano assolutamente legate: anche nei miei cinque anni all'lnter, in cui non ho giocato sempre dal primo minuto, in Nazionale invece sono stato sempre regolarmente convocato. La mia scelta di Roma è legata solo ed esclusivamente alla mia volontà di vestire la maglia di questo club che stimo da sempre e che è uno dei migliori in circolazione».