Riccardo Viola: "Lo stadio? La politica spense il sogno di mio padre"

20/02/2009 alle 10:39.

IL ROMANISTA - "A papà l'idea dello stadio di proprietà venne nel 1985. Sa, per via dei Mondiali". Non se ne fece più niente perché il Coni, a differenza di adesso, non aveva alcuna intenzione di spogliarsi dei privilegi legati alla centralità dell'Olimpico. E «per le pressioni della politica capitolina». Gentiluomo dello sport romano, presidente del Coni provinciale, editore, Riccardo Viola ha il cognome adatto per ricordare. Il papà, l'ingegnere Dino, intuì la necessità di uno stadio di proprietà. Di una casa della Roma, e solo della Roma. A cosa si deve la genesi del progetto, Viola? «A Italia 90. Era l'85 e papà sapeva che avrebbe dovuto lasciare l'Olimpico per due anni. Pensò allora di costruire un impianto e una cittadella dello sport romanisti».

A cosa si deve la genesi del progetto, Viola?

«A Italia 90. Era l'85 e papà sapeva che avrebbe dovuto lasciare l'Olimpico per due anni. Pensò allora di costruire un impianto e una cittadella dello sport romanisti».

La cittadella?

«Voleva che il tifoso potesse vivere lo stadio con la sua famiglia. All'interno, erano previsti dei ristoranti e persino una chiesa. Dino Viola voleva una struttura polifunzionale».

Poi, cosa accadde?

«Se non ricordo male, fu nell'86 che qualcuno cominciò ad accusarlo di voler fare lo stadio per una semplice speculazione edilizia. Papà uscì allo scoperto e fece presente di non essere un proprietario terriero. Disse al Comune: "Individuate l'area, poi ci penseremo noi". Il Campidoglio scelse la Romanina per la facilità con cui si sarebbero potute costruire le infrastrutture».

Ma?

«Ma saltò tutto. Mio padre subì delle pressioni fortissime dalla politica romana».

Ognuno desiderava qualcosa?

«Esatto. E consideri che i partiti che comandavano erano nove o dieci. Quando ci si mise anche il Coni, papà accantonò il progetto».

Perché il Coni non era d'accordo?

«Non voleva perdere l'Olimpico, il denaro che sarebbe stato investito per la sua ristrutturazione e il potere che derivava dall'essere titolari dell'impianto che avrebbe ospitato Italia 90. Il Coni sapeva che, una volta che Dino Viola fosse riuscito a costruirsi lo stadio, i Mondiali sarebbero stati disputati lì. Personalmente, ero un po' critico».

E per quale motivo?

«I tempi di ammortamento della spesa erano lunghissimi. Papà calcolava che sarebbe rientrato dell'investimento dopo 30 anni».

Quanto sarebbe costato?

«Circa 100 miliardi di vecchie lire. Sarebbe stata una struttura all'avanguardia per quei tempi».

Cosa pensa dell'intenzione dei Sensi e del Comune di riprovarci?

«Che se l'idea dello stadio si coniuga a quella di una polisportiva, è una cosa buona. L'interesse del Coni è che non venga costruita solo una casa del calcio, ma pure una del basket e della pallavolo. Lottomatica e Roma Volley, come d'altronde tutte le società capitoline di vertice nello sport, hanno diritto a ricevere dal Campidoglio lo stesso trattamento di Roma e Lazio».