Oshadogan: "Io, Roma, la mia Sud. E il razzismo in Italia"

07/01/2009 alle 14:38.

IL ROMANISTA - Primo giocatore di colore a vestire la maglia dell'under 21 dell'Italia. Il suo nome nella rosa del Monaco nella finale di Champions League del 2004, persa dai francesi contro il Porto di Mourinho. Ma anche un passato nella Roma nell'estate '99, che non dimenticherà mai: «Sono tifoso del Pisa, ma dopo la parentesi giallorossa sono diventato simpatizzante. Quella tifoseria ti conquista, c'è poco da fare». Oggi Joseph Dayo Oshadogan, 33 anni a giugno, è un difensore del Lanciano di Eusebio Di Francesco, che oggi a Trigoria affronterà la Roma. Sarà un ritorno al passato per lei. «Già, anche se probabilmente non sarò in campo per un problema fisico. Roma per me fu un'esperienza positiva. Fare il ritiro con tanti campioni, con Capello alla guida, fu importante per la mia carriera. Il tecnico ci spronava in allenamento a far meglio e cercava di insegnarci il suo calcio. Magari potevo starci più a lungo, ma per giocare preferii accettare la Reggina. Andai via subito dopo la presentazione all'Olimpico. Ricordo come fosse ieri il mio cognome scandito dalla curva Sud. Temevo di fare una

Sarà un ritorno al passato per lei.

«Già, anche se probabilmente non sarò in campo per un problema fisico. Roma per me fu un'esperienza positiva. Fare il ritiro con tanti campioni, con Capello alla guida, fu importante per la mia carriera. Il tecnico ci spronava in allenamento a far meglio e cercava di insegnarci il suo calcio. Magari potevo starci più a lungo, ma per giocare preferii accettare la Reggina. Andai via subito dopo la presentazione all'Olimpico. Ricordo come fosse ieri il mio cognome scandito dalla . Temevo di fare una "figuretta", che nessuno mi conoscesse. Sa, venivo dal Foggia... E invece andò bene».


Che tecnico è Di Francesco?

«Mi sto trovando bene, ha idee chiare, riesce a farle interpretare alla squadra. All'inizio siamo partiti con un gruppo nuovo e per questo abbiamo lasciato un po' di punti per strada. Ora, però, il lavoro del mister sta dando i suoi frutti. Come modulo utilizza un alla Spalletti, anche se poi ognuno dà il suo, personale, tocco».


Il suo nome era nella rosa del Monaco che raggiunse la finale di nel 2004.


«Nel Principato mi infortunai di brutto, rischiai addirittura di smettere. Però presi parte a quell'impresa. In semifinale contro il Chelsea andai in panchina, quando stavo bene Deschamps mi prendeva in considerazione. Per me la era un sogno, l'anno prima la guardavo in televisione. Quello era un gruppo bellissimo: c'erano Giuly, Roma, Nonda, Adebayor, Morientes. Gente vera. Lo spagnolo era un ragazzo unico, un piacere giocarci insieme. Speravo che Shabani potesse fare meglio a Roma, era forte forte. Gli infortuni lo hanno penalizzato troppo. Peccato».


Lei è stato il primo giocatore di colore italiano a vestire la maglia dell'under 21 azzurra. Gli americani hanno eletto Obama come presidente. Un bel passo in avanti.

«Ci speravo, ma non ci volevo credere finché non è stata ufficiale l'elezione. È uno di quei momenti che può cambiare la storia. Nel mio piccolo mi sono sempre attivato per dare il mio contributo contro il razzismo. Sono due anni che è uscito il libro di un sociologo romano, Mauro Valeri, "Black Italians" sul tema. In queste pagine vengono raccontate molte storie, tra queste la mia e quella di Fabio Liverani».

In Italia il razzismo resta una realtà. A Chivu danno dello "zingaro" in molti stadi del nostro paese. Le è mai capitato di essere insultato per il colore della pelle?

«Decine di volte. Circa 10 anni fa mi accadde un fatto simile a quello di Zorò, l'ex del Messina. Giocavo nel Foggia, fui "buuato" dai tifosi avversari. Ricordo che l'arbitro cercò di rassicurarmi in più di un'occasione e man mano che passavano i minuti mi diceva: "Dai, meno 20", riferendosi al tempo che mancava. Lo stadio è un campo neutro dove il sociale viene fuori. L'Italia ha il problema del razzismo, è inutile negarlo, anche nel quotidiano avvengono cose brutte. Se mi offendono in una certa maniera, non è un problema mio. È un problema di chi lo fa».

Ha giocato un anno e mezzo in Polonia nel Widzew Lodz, peraltro grazie all'intermediazione di Boniek. Che rapporto vi lega?

«Zibì è una persona che sta nel calcio da tanti anni, è uno "spettacolo" (testuale, ndr). Dopo due anni turbolenti con la Ternana, lui mi ha dato la possibilità di giocare in Polonia. Lì mi sono trovato bene, è un bel campionato».

E ora è tornato a casa, a Lanciano.

«Sì, perché Boniek ha preferito defilarsi dal Widzew Lodz. Allora ho preferito rientrare in Italia, per rimettermi in discussione».