CRONACHEDISPOGLIATOIO.IT - Gianluca Scamacca ha rilasciato una lunga intervista al sito sportivo e ha ripercorso tutta la sua carriera, soffermandosi anche sull'addio alla Roma e sull'infortunio che lo ha tenuto ai box per svariati mesi. Ecco le sue dichiarazioni: "Ho sempre saputo di avere delle doti non comuni, così come di aver percorso una strada più difficile rispetto agli altri. Non riuscivo ad accettare l’infortunio: il primo infortunio della mia carriera. Durante la scorsa stagione ho giocato per gran parte del tempo con un menisco compromesso. Avevo paura di non tornare più forte come prima. Mi allenavo sopra al dolore, prendevo i medicinali per non sentire male. Perché mi uccideva correre e sentire che il ginocchio che non c’era. In Premier League, dove il fisico è una componente rilevante, se non sei al 100% ti spazzano via. Quando sono stato bene, in un mese ho segnato 5 reti".
Poi continua: "Fin da quando ero ragazzo, la gente parla di me. Sappiatelo: non ho ancora mostrato al 100% le mie potenzialità. Per tanti sono un talento inespresso: io so di avere delle qualità ancora nascoste, ma sono stra-sicuro al 100% che chi mi prende fa un affare. Penso che mi manchi solo stare nel posto giusto al momento giusto. Quale sarà? Lo scopriremo soltanto vivendo. Credo, però, che un punto d’arrivo non lo raggiungerò mai. Nella mia testa mi pongo sempre due tipologie di obiettivi: uno a breve termine, l’altro a lungo. Anche se nella prossima stagione dovessi segnare 20 gol, al ventesimo punterei a farne 22. Sono molto duro con me stesso, molto pretenzioso. Fin da quando giocavo per strada nel mio quartiere di Roma. Sono uno di strada, nato nella strada e cresciuto per strada".
Sull'addio alla Roma.
"Quando ho lasciato la mia città da ragazzo per andare in Olanda, è stata una mazzata. Volevo provare questa esperienza che mi affascinava e farmi una cultura: non mi pento di niente, i Paesi Bassi sono una scuola di calcio. Ma ho iniziato a sentire la mancanza e sono tornato. Forse non avrei dovuto farlo. Ero piccolo, mi ero stufato. Quando sono partito, le squadre italiane non investivano sui giovani. E puntavano sul collettivo: in Olanda, invece, vogliono l’evoluzione del singolo. Al mio ritorno, la filosofia era cambiata. Sono tornato a casa tra un prestito e l’altro. Sentivo la lontananza. Ne è valsa la pena: pochi anni dopo ho esordito in Serie A, al Maradona, contro il Napoli. In quei 15 minuti non ho capito niente, ho ricordato le prime volte in cui andavo all’Olimpico. Mi è tornato in mente quando dalle giovanili della Lazio passai a quelle della Roma: al cuore non si comanda. Guardavo Totti mentre facevo il raccattapalle e non gli staccavo gli occhi di dosso". [...]