Reja e la rimonta sulla carta

21/03/2012 alle 10:16.

IL ROMANISTA (G. MANFRIDI) - La matematica, innanzitutto. E’ la matematica che ci soddisfa. Da meno dieci a meno quattro. C’è tuttora quel meno a martoriarci, ma è un meno che vale sempre meno. Non sarà gran cosa ma, per i tempi, è abbastanza. Stavamo già quasi per assuefarci all’idea di fare la parte degli ospiti eunuchi

Ecco, questo ‘invece no’ è l’annuncio che ci giunge dalla seconda vittoria di fila ottenuta mercè il protrarsi di uno zero a zero difeso per 87 minuti, dopo che i primi tre si erano conclusi uno a zero per noi. A Palermo come col . E quei primi tre minuti sono bastati a fare il risultato, sia lì che qui. Tre più tre, sei. Sei minuti per sei punti. A seguire, ottantasette più ottantasette (recupero a parte), 174 interminabili minuti di poca roba, che tuttavia non ci ha evitato frequenti tremori, e due finali di partita entrambi vissuti all’insegna della difesa a oltranza, senza che ciò abbia implicato una rinuncia al tridente di attacco, giammai diminuito per aggiungere forze supplementari davanti al di turno. Questo è Luis Enrique, prendere o lasciare, che poi anche se volessimo lasciarlo tanto rimane, visto che, con buona pace dei denigratori di professione, la società attuale non sembra essere preda di volubilità nevrotiche. Fatto sta che con una partita sotto molti aspetti simile a quella del Barbè- ra, abbiamo ridato un senso a molte cose e un po’ lenito l’ustione del derby. Da abbattuti che eravamo, ma anzi peggio che abbattuti: stramazzati al suolo con gli uccelletti che ci ronzavano attorno al cranio manco fossimo i personaggi di un cartone, a Palermo abbiamo trovato la forza per tiraci su a sedere, e col quella di rimetterci in piedi; certo, ancora un po’ storditi e barcollanti, ma perlomeno in grado di riprendere a camminare. Cosa che credo stia per avvenire.

La mediocrità che sembrava avvolgerci come una bruma viscosa, annuncia palpabili segni di rarefazione. In qualche modo, è come se stessimo capitalizzando l’inutile riuscendo nell’impresa di renderlo inaspettatamente utile, laddove per inutile intendo la dozzina di partite che ci stavamo accingendo a sgranare come un mesto rosario di amichevoli nella deprimente attesa di mettere in archivio questo campionato farcito di sogni più ammaccati che mancati. Ci aspettavamo il tedio di una primavera tinta coi colori posticci di un livido autunno, come chi, poco dopo aver valicato la mezza età, abbia precocemente rinunciato alle ambizioni nutrite in giovinezza; ebbene, questo pericolo lo si direbbe scongiurato, il che ci ha riconquistato la giusta fibrillazione di una competizione vera.

A questo punto, dovessi lucidamente puntare su una squadra da candidare come terza, ancora stenterei a prediligere la nostra, ma con una riserva mentale che mi farebbe dire: “Però, non è detto”. Siamo in quattro per quel posto, e dei quattro siamo quelli con meno chances. Perlomeno, considerando la freddezza dei dati a prescindere dalla dinamica del momento; una dinamica che ci attribuisce un abbrivio di cui le altre per adesso non godono. Il è forte assai e in grande forma, ma con l’Udinese la partita l’ha recuperata per i capelli e tutte le energie che aveva immesso nella ’s non è automatico che sappia riproporle in campionato.

L’Udinese è bella e ammirevole, tuttavia tra quelle che ci sopravanzano è l’unica a cui mi sento di attribuire meno possibilità di quante ne abbiamo noi. Sarà per l’assenza di Isla, sarà per l’eccesso di dipendenza da un uomo solo (penso ovviamente a Di Natale), o per il fatto che un piazzamento da podio sia ancora considerato dai bianconeri di Pozzo una sorta di miracolo, ma ritengo che alla fine i friulani dovranno cedere il passo a qualcun altro. La prima del drappello, ahinoi, è la Lazio; dunque, a tutt’oggi, la più accreditata in questo minitorneo a quattro. Quando si tratta di dire la mia in merito a faccende che coinvolgono i biancazzurri, sono talmente condizionato sia dal sistema nervoso che dai morsi della scaramanzia da risultare, lo ammetto, molto poco attendibile.

In genere, a velarmi è soprattutto la scaramanzia, che in me può giungere a picchi di travisamento isterico, tanto da farmi vedere negli uomini di Reja degli inabbattibili titani blanditi dalla buona sorte, dalla compiacenza arbitrale e dal potere nella sua globalità. Per mia fortuna, certi deliri sono contrastati da uno spirito positivista che, appellandosi ai lumi della ragione, sa darmi risposte di maggior senno. La Lazio, undici contro undici, non vale noi, e sulla carta sono ben più di quattro i punti di differenza che dovrebbero distinguerci da loro. Vogliamo dire almeno dieci? Quei dieci che il 4 marzo sera erano i laziali a vantare come sopravanzo nei nostri confronti. Ebbene, se entro giugno riuscissimo a stabilire le giuste proporzioni, pur considerando le non troppe partite a disposizione, diciamo che 6/7 punti dovremmo riprenderglieli. Dovremmo. Sulla carta. Ma, infine, è pur sempre sulla carta che vengono scritte le classifiche finali.