Bencivenga: «In quel ruolo l’ho inventato io»

07/02/2012 alle 09:05.

IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Se Daniele De Rossi è diventato il calciatore più pagato della storia della Roma, qualcosa lo deve anche a Mauro Bencivenga. Classe’52, per dieci anni allenatore nel vivaio della Roma - campione d’Italia con gli Allievi Nazionali (1999) - e campione d’Albania con il Klubi Futbollit Tirana (2009), fu proprio Bencivenga a cambiare il ruolo in campo a De Rossi, arretrandolo in mediana.



Bencivenga, come nacque questa intuizione?

«Nella prima stagione, quando aveva 16-17 anni, Daniele giocava poco. La svolta arrivò in una gara che disputammo ad Arezzo: mi mancava una mezzala e lo feci giocare. Grazie a quella prestazione, gli diedi in seguito più spazio».

Che ricordo ha di in quegli anni?

«Ottimo, un bravo ragazzo. Simpatico, generoso, ogni tanto mi faceva arrabbiare però avevo con lui un rapporto splendido, in virtù anche dell’amicizia che mi lega al padre Alberto. È capitato di averlo rimproverato duramente ma lui sapeva che lo facevo per il suo bene».

Si ricorda qualche aneddoto in particolare?

«Una volta si presentò al campo con l’orecchino. Nonostante da giovane fossi quasi un hippie, appena lo vidi, gli dissi: ‘Daniè, levate quel ’. Un’altra volta, invece, gli diedi uno schiaffo perché commise un brutto fallo su Aquilani in allenamento. Era come un figlio».


All’epoca pensava a questa sua ascesa?

«No, sono onesto. Pensavo che si potessero affermare più Bovo, D’Agostino o Lanzaro. Per Daniele sognavo un futuro roseo ma mi limitavo a sperarlo».

La posizione nella quale gioca con Luis è quella dove rende al massimo?

«Certamente. Sarà che sono un innamorato del e grande amico di Guardiola... Non vorrei apparire presuntuoso ma quel ruolo che ricopre oggi lo faceva già con me a 17 anni. A quei tempi giocavo con una difesa a tre e quando affrontavamo una squadra che schierava il tridente, Daniele diventava il difensore aggiunto».


Lo sente ancora?

«Ci siamo visti alla presentazione del suo libro (‘Il mare di Roma’, ndc) e mi ha fatto emozionare, accostandomi ad allenatori del calibro di Spalletti, Capello e Lippi»

C’è un giovane che potenzialmente le ricorda ?

«Viviani».

può ancora migliorare o è al top?

«Come no, è la vita che lo insegna. È un campione ma a volte è ancora troppo precipitoso nelle giocate, si fa prendere dalla frenesia, come quando era ragazzino. Ma ha personalità, è spavaldo in campo. Gli dicevo sempre: a calcio chi è forte non deve aver paura di nessuno. Lui era un incosciente sin da piccolo, mi piaceva perché non aveva timore di niente. Affrontava le partite con il sorriso e per questo le cose gli riuscivano ancora meglio