I dubbi sul protocollo della FIGC: ecco cosa dovrà essere chiarito prima per ripartire

03/05/2020 alle 23:03.
figc-via-allegri

LAROMA24.IT (Lorenzo Giannini) – L’emergenza coronavirus continua a tenere sotto scacco tutti i campionati di calcio del mondo, ma ogni federazione, al meglio delle proprie possibilità e della condizione sanitaria del paese di appartenenza, sta facendo il possibile per riportare in campo le squadre. Tra queste c’è anche la Lega di Serie A, che fin dal momento dello stop ha sempre espresso la propria volontà di voler tornare in campo e concludere la stagione a ogni costo.

Proprio per questo motivo la scorsa settimana il Comitato medico della FIGC ha redatto un protocollo contente le linee guida che ogni società di Serie A avrebbe dovuto rispettare, innanzitutto al momento della ripresa degli allenamenti e successivamente nel caso in cui si fosse tornato a giocare partite ufficiali. Il protocollo però, che è stato presentato al Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, è stato bocciato dal Comitato Tecnico Scientifico a causa di alcuni punti oscuri, o per meglio dire mal specificati e approfonditi, che non garantirebbero una ripresa in totale sicurezza per gli atleti. Lo stesso Ministro è stato molto diretto nello spiegare la necessità di avere un protocollo praticamente inattaccabile per dare il via libera alla ripresa: “Bisogna essere chiari, se ci sarà un accordo tra CTS e FIGC sul protocollo allora si potrà riprendere con gli allenamenti e di conseguenza anche per la ripresa del campionato si aprirebbe uno spiraglio importante; diversamente, in caso di mancato accordo, il governo chiuderà la stagione per emergenza sanitaria”. Ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sui punti che nei prossimi giorni dovranno essere rivisti.

DIFFICOLTÀ LOGISTICHE – Questa problematica riguarda in primis la difficoltà che ognuno dei 20 club di A avrebbe nel poter garantire un completo isolamento ai propri atleti e al proprio staff nei rispettivi centri d’allenamento. Il protocollo prevede infatti che ogni individuo dovrebbe pernottare per tutto il tempo della fase di ripresa all’interno delle strutture, ma non tutte le società hanno la possibilità di garantire una stanza ad ogni membro dello staff e ai giocatori. Inoltre alcuni problemi ci sarebbero anche in merito agli allenamenti veri e propri, visto che l’obbligo di far allenare ogni atleta rispettando le distanze sociali e i protocolli di sicurezza potrebbe non essere possibile in quei centri che non hanno le stesse strutture di altri. Infine ci sarebbe una problematica in vista della ripresa del campionato, che avverrà sicuramente a porte chiuse, ma che lascia alcuni interrogativi sugli impianti che si sceglierà di utilizzare. Infatti alcune squadre, in particolare quelle del nord Italia come Milan, , e Atalanta, che si trovano in zone in cui il tasso del contagio è stato molto elevato, non potrebbero garantire la totale incolumità delle squadre che si recano a giocare in trasferta; senza parlare del fatto che non viene specificata la modalità di spostamento attraverso cui i club potrebbero correre meno rischi.

IN CASO DI NUOVI CONTAGI – Il Comitato Tecnico Scientifico ha valutato poco chiaro anche il punto in merito all’eventualità in cui un atleta risulti essere positivo durante questo periodo al Covid-19. Come bisognerebbe agire in questo caso? Il soggetto in questione dovrebbe essere messo in quarantena per almeno 5-7 giorni, a detto dalla FIGC, al contrario di quanto espresso dalle direttive del CONI che parlando di 14 giorni. Ma come comportarsi con i compagni che hanno frequentato le stesse strutture non è chiaro. Inoltre nell’eventualità che un giocatore dovesse risultare positivo, con conseguente messa in isolamento per lui e la squadra, cosa accadrebbe al campionato? Questo punto, molto oscuro, è stato criticato soprattutto da 17 dei 20 medici sportivi delle squadre di A, che hanno inviato una lettera in cui esprimevano le loro perplessità sul tema. “Nel caso in cui un membro del gruppo squadra risultasse positivo non è chiaro se le attività di squadra possono riprendere regolarmente per gli atleti che risultassero negativi agli accertamenti previsti”.

RESPONSABILITÀ IN CASO DI NUOVI CONTAGI – Uno dei punti di maggior interesse però riguarda il fatto che nel protocollo presentato dalla FIGC non è stato specificato, in caso di positività di un atleta, di chi sarebbe la responsabilità legale dell’accaduto. Questo punto, sul quale il Comitato Tecnico Scientifico vuole assoluta chiarezza visto il rischio che il Governo corre ad accettare una ripresa delle attività, è attualmente molto dibattuto, soprattutto a causa del fatto che nessuno dei soggetti chiamati in causa fino a questo momento sembrerebbe volersi assumere una tale accortezza.

FATTORE ETICO – Infine un altro punto sul quale il protocollo della FIGC non è stato molto chiaro è quello relativo al fattore etico. Se infatti si decidesse di ripartire ogni squadra dovrebbe garantire a ogni atleta alcuni test medici, come i tamponi e i test sierologici, come minimo una volta a settimana, anche se alcuni parlano di due test ogni sette giorni. È evidente però come questo argomento scaldi molto gli animi della comunità scientifica italiana, che denuncia da tempo come tali strumenti non siano disponibili all’interno delle strutture ospedaliere per chi è già gravemente colpito dal Covid-19. Va inoltre considerato che il costo per disporre di un numero di test medici così elevato sarebbe possibile solo ad alcune realtà calcistiche. Sull’argomento è intervenuta anche l’Assocalciatori, che in più occasioni ha espresso la propria volontà sì di tornare in campo, ma per farlo non vuole assolutamente utilizzare via preferenziali che garantirebbero ai giocatori un trattamento di favore, come quello di poter disporre di tali test privandone i cittadini comuni.