Il filo che lega Flavio Bucri e Andrea Silipo sono due sanguinosi pareggi, nell’anno dell’ultimo scudetto della Roma dei grandi. Forse i diretti interessati neanche lo sapranno ma, in quei giorni in cui venivano alla luce, non si respirava un’aria così serena, in una città che si ritrovava comunque capolista ma a fare i conti con avvenimenti che ne minavano la totale serenità. Coincidenze strane, perché il mini bomber di Ostia nacque esattamente all’indomani dell’1-1 di un anonimo Roma-Bari, quando un rigore di Francesco Totti aveva rimesso le cose in ordine dopo l’iniziale vantaggio pugliese a firma di un’illustre meteora come Giuseppe Mazzarelli.
Fu ancora peggio il 17 aprile, giorno in cui il fiocco azzurro spuntò in casa Silipo: appena tre giorni prima, Antonioli l’aveva combinata grossa contro il Perugia. Questa volta sarebbe stato Vincenzo Montella a risolvere le cose, più con il braccio che con la testa. Piccoli stop, in un percorso tricolore. Quello stesso pezzo di stoffa che i neonati dell’epoca si sono cuciti sul petto ieri sera, a Ravenna, cancellando la maledizione delle finali e riportando a Trigoria quel che mancava dalla leva del ‘98/’99 di Federico Coppitelli e soprattutto Marco Tumminello.
La generazione dei millenials, invece, era inesorabilmente a secco, perché vicino allo scudetto era andata per due volte consecutive, scottandosi ad appena un passo da sole. Due anni fa il primo ammiccamento, frustrato ai supplementari dalla stessa Atalanta piegata nella notte di Romagna. La scorsa stagione, poi, il Milan di Maldini junior a rimanere indigesto. Poteva non esserci due senza tre, ma così non è stato. Perché questa under 17 ha finalmente trovato nelle tasche quel centesimo che negli scorsi appuntamento era mancato per saldare la lira di conto alla cassa. E pensare che Alessio Riccardi neanche giocava. Mentre dalla parte opposta i gioielli c’erano tutti, compresi quei Cortinovis e Gyabuaa freschi di un argento europeo tanto quanto quel Freddy Greco che stanotte ha dormito sogni tricolori.
Soddisfazioni romaniste, di una squadra nata e cresciuta a Piazzale Dino Viola, almeno in larga parte. Squadra autoctona, quella di mister Baldini, forgiata da Valerio D’Andrea già ai tempi dei provinciali. Solo che all’epoca qualcosa era diverso: Barbarossa titolare inamovibile davanti, Bucri ancora ad Ostia. All’appello mancava anche Bamba, che sarebbe arrivato nel gennaio seguente. E qualche ruolo ancora non era definito, come fisiologico in ragazzini talentuosi ma ancora tutti da definire sotto l’aspetto fisico. Il precetto fondamentale era il gioco. Palla a terra, tecnica su tecnica. Attaccare e imparare a difendere in avanti. Crescere i giocatori per un possibile futuro. Nel mezzo anche vincere, ma senza scendere a compromessi con la propria filosofia. E lo avrebbero fatto quei ragazzini terribili. Non tanto in un campionato regionale dominato, quanto nelle kermesse internazionali. Chiedere per credere all’Inter, battuta nell’Halima Haider del 2015. Ma anche al Psg.
Intanto i ragazzi crescevano e passavano di categoria. Nell’under 15 al secolo Giovanissimi Nazionali subito una finale. Ma l’Atalanta ne aveva di più, quanto meno sul piano fisico. La Roma invece doveva fare i conti con chili e centimetri in meno. E quegli infortuni che tutt’ora non la lasciano stare, privandola fin troppo spesso di un Chierico che da papà ha ripreso i colori e buona parte della sapienza calcistica. Solo che Odoacre faceva l’esterno, il pargolo invece il centrocampista centrale. E se non fosse per una spalla problematica, staremmo qui a incensarlo come e più di tutti i suoi compagni. Oltretutto la Roma si era fatta in casa, con pochi ritocchi e quasi tutti interni alla Capitale. Bamba era arrivato dalla Vigor Perconti, Anatrella al massimo da Napoli. Gli orobici invece avevano speso tra Parma e Reggiana per rinforzare centrocampo e difesa: il risultato sarebbe stato scudetto. Ma l’anno successivo ancora un tentativo. Stavolta Milan in finale, ma altra sconfitta. Riccardi intanto iniziava a viaggiare verso la categoria superiore, neanche troppo in solitaria. Dal Litorale era stato pescato Bucri, attaccante come papà Alessandro, che tra i dilettanti aveva seminato più gol che presenze. Ma nel momento topico, qualcosa era nuovamente mancato.
Al lavoro di nuovo, stavolta con Francesco Baldini, voluto dalla nuova gestione Tarantino. Uno che il campo lo conosceva bene, Baldini, passato da Napoli anche nella stagione di uno scudetto romanista che contribuì a rinviare fino al 17 giugno: appena una settimana prima, nel 2-2 di Napoli, era in campo anche il neo tecnico campione d’Italia, ma in maglia azzurra. Nuova gestione, vecchi metodi. Ancora il gioco come mantra da seguire. Zero speculazioni, vincere passando esclusivamente per le proprie idee. Soprattutto quella di far crescere i ragazzi. E infatti Alessio Riccardi e Eugene Bouah ci sarebbero stati poco o nulla con i loro pari età: Alberto De Rossi aveva chiamato, insieme alla Primavera. Giusto lasciarli andare a farsi le ossa con i più grandi. Tanto di stoffa pregiata ne rimaneva tanta. Su tutti Greco, perno della mediana azzurra di Carmine Nunziata. Poi capitan Laurenzi, chioma riccia e abilità quasi insolita nell’uscire palla al piede. Poi un Silipo finalmente esploso, Gianmarco Cangiano cresciuto in quel fisico che ne aveva limitato in alcuni frangenti l’indiscussa classe. E poi Bamba, Meo, la spinta di Semeraro e Parodi sulle fasce.
All’occorrenza, anche un 2002 come Calafiori. Poi Bucri: non a caso quel 3-2 scudetto sarebbe arrivato dal piede e dalla testa di questi ultimi due. La bellissima si è ritrovata anche compiuta. Questa volta neanche Traorè ha potuto impedirlo. Però quanta qualità anche questa Atalanta, che tra i suoi gioiellini ha un Cortinovis da spellarsi le mani, che forse fa pensare di non essere messi così male per il futuro italiano. Per le speranze, guardare a Trigoria, dove ieri è tornato uno scudetto. E dove De Rossi già gongola: di materiale su cui mettere le mani, in Primavera, ce n’è tanto. A partire dal numero 1, Cardinali, eccezione di un portiere sicuro nelle uscite, lì dove sembra mancare questo fondamentale nell’epoca del palloni ultra leggeri e suscettibili anche a un flebile soffio di vento. La Roma è campione d’Italia con i ragazzi nati proprio nell’anno dell’ultimo scudetto. E mentre Totti segnava al Parma, in tanti neanche erano ancora venuti alla luce. Chissà che un altro 17 giugno non possa arrivare anche per loro. Come augurio, non sarebbe male. Neanche per noi.
Matteo Latini