LA REPUBBLICA (M. PINCI) – A fine partita ha raggiunto i familiari, che lo guardavano estasiati. «Nicolò, ti rendi conto di cosa hai fatto?». E lui, con quel sorriso timido e il berretto di lana calato sugli occhi: «No, che ho fatto?». Due gol al Porto negli ottavi di Champions League, alla sua età, non li aveva mai segnati nessun italiano. Ma Nicolò Zaniolo, 19 anni, 7 mesi e 12 giorni oggi, martedì sera non lo sapeva ancora: sembrava preoccuparsi soprattutto di quei segni lasciati sulle sue mani da un pestone del difensore portoghese Pepe. Il club che vive di cessioni multimilionarie - da Lamela e Marquinhos a Alisson e Strootman - ha già deciso: lui non partirà. Per tre motivi. Il primo è economico: Zaniolo ha un contratto per altri 4 anni a 700mila euro all'anno. Chi lo vuole dovrebbe spendere una cifra enorme per prenderlo - 70 milioni, almeno: in pochi possono farlo. E a un 19enne al primo contratto nessuno offre cifre irraggiungibili, dopo un solo anno di Serie A. Secondo: ha 4 anni di contratto, quindi è nel suo interesse rinnovare a cifre più alte, visto che la Roma, potendolo trattenere per 4 anni a quello stipendio, è in una posizione di forza. Il terzo è il più importante: la società ha riscontrato in Nicolò il profilo per un percorso di identificazione internazionale, utile anche dal punto di vista commerciale: è italiano, giovane, forte. Lo sa anche Pallotta: «Zaniolo potrà diventare un leader del nostro futuro», ha detto ieri. A Roma c’è addirittura chi vorrebbe che Totti gli mettesse sulle spalle la sua maglia numero dieci. Per ora gli ha regalato complimenti.
E una storia da raccontare: Zaniolo aveva appena segnato il primo gol in Serie A col “cucchiaio” e i compagni nello spogliatoio iniziarono a prenderlo in giro. «Ma che fai, imiti Totti?». Proprio in quel momento passava di lì Francesco. Per l’imbarazzo, Zaniolo aveva provato a nascondersi dietro un sorriso, a cui il vecchio capitano ha risposto a modo suo: «A regazzì, che cacchio te ridi?». Tutta “colpa” della timidezza, la stessa per cui i suoi genitori - papà Igor, ex calciatore, e mamma Francesca, una star sui social network - sono rimasti senza biglietti per la partita di Coppa Italia a Firenze: Nicolò si era vergognato di chiederne al club. In campo corre Zaniolo, tanto: contro il Porto ha coperto quasi 12 chilometri, roba da mediano più che da esterno d’attacco. Ma nella vita può sembrare persino pigro: esce poco, sempre in zona Eur, dove abita. Il tracciato è quello di molti colleghi, l’aperitivo al bar dei vip, il pranzo al ristorante dove fu di casa Spalletti, a 10 minuti da Trigoria, la cena a Ponte Milvio. A volte va con la mamma, ultimamente con la nuova fidanzata, una ragazza romana che frequenta da dicembre. Niente scuola guida, ancora: «C’è tempo, non c’è fretta». Fretta che ha avuto invece la Fiorentina lasciandolo andar via gratis nell'agosto 2016. Una pratica diffusa, in Italia: nel suo caso, il neo ds Corvino voleva far posto nella Primavera al coetaneo Maganjic, croato preso per 900mila euro dall’Hajduk Spalato. Non un caso isolato, considerando che in questa stagione ci sono squadre (la Samp) che nel campionato Primavera hanno schierato anche 9 calciatori stranieri provenienti da 9 paesi differenti. Anche così gli Zaniolo d’Italia finiscono per disperdersi. Nicolò ce l’ha fatta ugualmente, “sopravvivendo” pure all'altra prassi che mina il futuro dei ragazzi: il mercato delle plusvalenze per cui, ogni anno, il giovane viene venduto a una cifra più alta per produrre benefici finanziari, a danno della sua formazione. Così l’Inter lo ha infilato nell’operazione Nainggolan, come fece prima coi terzini Valietti (con Radu al Genoa) ed Eguelfi (all’Atalanta nell’operazione Bastoni). Il paradosso è che se per i due colleghi partire è stato anche un po’ morire (sportivamente), per Zaniolo ha significato trovare Di Francesco: l’uomo a cui dire grazie due volte, per non averlo lasciato partire in prestito la scorsa estate e poi per avergli affidato la Roma. Che ora ringrazia quel ragazzino. Anche se lui, guardandola, sorriderà dicendo: «Perché, che ho fatto?».