Roma, addio ai brasiliani. La serie A perde le sue radici

02/08/2018 alle 13:14.
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LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Negli anni Ottanta, per festeggiare lo scudetto della Roma, Little Tony incise una canzoncina dal titolo "Roma brasileira". Testimonianza vintage ma efficace di un legame fortissimo, ancora vivo fino a qualche mese fa se c’era chi sosteneva che l’italiano a Trigoria fosse la seconda lingua più parlata dopo il portoghese dei brasiliani. Era un modo per mettere l’accento sul dna della squadra di , che di brasiliani in rosa ne aveva sei. Poi è successo qualcosa. Juan Jesus, il primo ad accorgersene, l’ha sintetizzato qualche settimana fa con un’immagine social in cui tracciava una croce sui connazionali venduti: il primo, Palmieri a gennaio, poi Bruno , Gerson, , ieri pure , che ha rescisso il suo contratto con la Roma per tornare in Brasile. Certo sarebbe diverso se al gruppo si fosse aggiunto Malcom, ma l’ala brasiliana che la Roma stava comprando dal Bordeaux ha incrociato i giallorossi solo sul campo, segnando tra l’altro, nella notte di martedì con la maglia del . Nonostante l’arrivo del giovane 3° Fuzato, quasi una "debrasilianizzazione" di Trigoria. Come se la squadra di Falcao e Aldair, che storicamente ha legato i propri colori alla bandiera verdeoro avesse improvvisamente scelto di rinunciare a quelle radici.

Ogni grande ne ha, più o meno marcate. Ma - forse per non farsi schiacciare dal loro peso - tutte hanno scelto di dimenticarle. A Milano tra Milan e giocano 6 croati, altro che derby Olanda- Germania. Il prossimo per i rossoneri sarà il terzo campionato senza tulipani, l’ultimo a vestirne la maglia fu Nigel De Jong, che ha salutato a gennaio 2016, prima di lui l’impalpabile van Ginkel, ombre sbiadite di una tradizione che dopo il trio Gullit-Rijkaard- Van Basten è proseguita con Kluivert, Davids, Seedorf, Stam. Persino peggio il borsino tedesco dell’: dallo scudetto di Matthäus e Brehme e dall’arrivo di Klinsmann, ricorreranno a breve trent’anni. Ma il nerazzurro non lo indossa nessun calciatore nato in Germania da tre, quando Lukas Podolski lasciò Milano dopo sei mesi da comparsa. ha invece una storia argentina nata con Sivori, costruita intorno a un patriarca come Maradona e consolidata da un esercito: da Ayala e Lavezzi fino all’infornata degli ultimi anni con Andujar, Campagnaro, Denis, Datolo, Federico Fernandez, Santana e Sosa. L’ultimo? Un certo Gonzalo Higuain: dal suo passaggio alla , a Castel Volturno ha smesso di sventolare la bandiera albiceleste. Anche le radici rischiano di seccarsi, di fronte a un tradimento.

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