IL ROMANISTA (D. LO MONACO) - Sul quotidiano a tinte giallorosse in edicola oggi, dopo l'anticipazione di ieri, va in scena l'intervista al nuovo acquisto giallorosso, Javier Pastore, accolto al suo arrivo a Ciampino il mese scorso dalla folla romanista in festa. Queste le sue dichiarazioni tra passato, presente in giallorosso e obiettivi stagionali:
Javier Pastore, in passato hai sfiorato la Roma diverse volte, a tua memoria quando ci sei andato realmente vicino?
"E' vero, anche prima del Psg. Ricordo bene. Poi, da quando sono arrivato a Parigi, è stato molto più difficile uscire perché stavo bene e il presidente mi teneva stretto, ma se ne parlò ancora. La cosa importante è che io sia finalmente qui oggi, con una squadra che ha fatto così bene, con le ambizioni che ha, con tutto quello che mi hanno raccontato e con la crescita che ho potuto constatare io stesso in queste settimane. Sono davvero felice di esserci. Si vede che era destino".
Ma quando hai capito che realmente c'era la possibilità di venire alla Roma?
"Ho parlato moltissimo con Fede Balzaretti, lui veniva spesso a Parigi e abbiamo giocato insieme a Palermo. Mi ha parlato tanto di quello che si stava facendo alla Roma e devo dire che effettivamente aveva ragione: quando sono andato via dall'Italia la Roma aveva una sua collocazione, adesso la società è cresciuta tantissimo".
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Dieci anni fa eri uno dei "Los Angeles de Cappa", gli angeli di Cappa, i giocatori di una squadra allenata da un signore che voleva solo attaccare. Anche se era uno che ti metteva in campo e al massimo ti diceva in che ruolo. Al resto pensavate voi. Oggi le cose sono un po' diverse, ma lavori sempre con un allenatore offensivo.
"Il calcio è in continua evoluzione, cambiano le epoche, gli allenatori, i giocatori. Io all'epoca avevo 19 anni e non avevo mai trovato un allenatore che mi desse così tanta fiducia, all'Huracan avevo cambiato già tre allenatori, Cappa arrivò e mi diede le chiavi della squadra. A me non piaceva correre all'indietro, era il mio stile di gioco, c'erano gli altri che correvano per me. Facevo fatica ad andare a contrasto o a correre dietro agli avversari".
Poi sei arrivato in Italia...
"Ed è stato un casino all'inizio, ho sofferto tanto. Sì, il pallone era lo stesso, ma io non avevo idea di come si dovesse giocare e non ero pronto né tatticamente né fisicamente. In Italia ho cambiato il chip e ho capito tutto. Ho imparato i movimenti, a muovermi in conseguenza dei compagni o della palla. E ho capito tante cose che mi sono tornate utili per essere un giocatore che fosse il più completo possibile. Una deve essere preparato per ogni evenienza, capita di cambiare tanti allenatori ed è sempre meglio farsi trovare preparati".
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Sabatini, il tuo mentore, ha provato anche a riportarti alla Roma.
"Il rapporto è rimasto intatto negli anni. E' stata una delle persone più importanti della mia carriera. Mi ha aiutato tantissimo soprattutto al mio arrivo al Palermo. Ogni tre giorni dovevo andare nel suo ufficio, a parlare della partita, a dire quello che secondo me avevo fatto bene e quello che avevo fatto male, mi chiamava praticamente tutti giorni per sapere se stavo bene. E non dimentico i due o tre mesi prima di partire, quando mi è venuto a prendere in Argentina. E pure quando sono andato a Parigi mi ha chiamato spesso, rimproverandomi anche per qualche partita giocata male".
Lo dice spesso: dopo il primo anno a Parigi, Javier si è seduto.
"In realtà non è vero che mi sono seduto. Fino al 2015 ho giocato praticamente sempre tutte le partite da titolare, cambiando compagni, sistemi di gioco, allenatori, ma sempre in campo con massima responsabilità. Gli ultimi due anni sono stati diversi. La società ha sempre investito su tanti campioni e io non ho più avuto le stesse responsabilità e stando bene lì con la città e tutto alla fine ho mollato qualcosa".
Qui pensi che sarà diverso?
"Qui sono pronto a combattere per conquistarmi un posto da titolare, con motivazioni completamente diverse. E' vero che a Parigi sono stato negli ultimi anni sono stato un po' più morbido e Sabatini questa cosa me l'ha sempre rimproverata".
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Hai detto recentemente che per quanto riguarda il ruolo che interpreterai alla Roma, ti sei messo in testa che farai la mezzala e basta. Che intendevi dire?
"La Roma gioca 433, non mi posso mettere in testa di giocare trequartista, non c'è motivo di farlo. Quando ho firmato con la Roma ho parlato con Di Francesco e lui é stato chiarissimo, mi ha detto che avrebbe giocato col 433 e se avessi accettato la proposta avrei fatto la mezzala, correndo anche per la fase difensiva. Io gli ho dato la mia parola, so di poterlo fare. L'ho fatto spesso anche a Parigi, sia pure nella diversità di certe idee. Ma mi conosco perfettamente, conosco la mia capacità aerobica e so di poterlo fare. E se poi una partita cambierà qualcosa lo farò pure, io sono disponibile e sono pronto a giocare ovunque. Come ho fatto a Parigi, passando da attaccante a sinistra, a destra, mezzala sinistra, trequartista, mezzala destra, a 2 in mezzo, ho fatto tutto. Devo dire che io mi sento più comodo quando sono utilizzato in una sola posizione, così io so che è lì che mi devo giocare il posto. Sai delle volte se sei un bravo jolly il tuo posto ideale è la panchina...".
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La Roma cosa è stata per te quando eri un avversario?
"Roma è una delle squadre più conosciute al mondo. Quando ero giovane in Argentina, dell'Italia conoscevo solo Roma e Milan".
E la Juve?
"Anche, ma veniva dopo, a Roma c'era Totti, io ci giocavo alla Playstation, mettevo la Nazionale italiana e mi divertivo e sognavo con lui, Pirlo, Del Piero. Per me Totti era il massimo".
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Roma è impazzita una sera di tre mesi fa. Tu dove hai visto Roma-Barcellona?
"A casa a Parigi, mi sono emozionato tantissimo. Vedere una squadra come la Roma lottare in quella maniera e arrivare a quel risultato. Per chiunque faccia il nostro mestiere quando giochi col Barcellona sai che devi essere concentrato al cento per cento e puoi prendere gol in qualsiasi memento. Lora non gli hanno lasciato alcuna possibilità, è una partita che è già nella storia della Champions".
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Dzeko che giocatore può essere per te? Hai giocato con Ibra, Dzeko che sensazioni ti dà?
"Mi sono abituato male, ormai. Prima con Ibra, poi Cavani... che giocatore Cavani. Forse l'attaccante più forte al mondo. Nella stessa giocata ti fa dieci movimenti diversi e allora tu almeno una giocata giusta su un movimento gliela devi dare e lui farà gol. Io Dzeko prima lo vedevo in tv, qua in allenamento però mi ha impressionato tanto. E' un altro di quelli che ha il gol nella testa. Ogni volta che si gira fa gol, non sbaglia mai! Quando hai attaccanti forti così devi solo pensare a far fare gol a loro. In una squadra quando segnano gli attaccanti di sicuro si vince qualcosa".