IL ROMANISTA - L'attaccante della Roma, Diego Perotti, è il protagonista di una lunga intervista realizzata dal quotidiano romano, in cui ha ripercorso la sua carriera e i suoi anni romanisti: dagli inizi agli infortuni che l'hanno fatto pensare di smettere, fino a Monchi, Di Francesco e De Rossi. Senza dimenticare l'emozione di giocare con Totti. Questo uno stralcio dell'intervista:
Come sei arrivato alla Roma?
«C’erano altre squadre che mi volevano, anche il Milan. Io dal primo momento ho pensato alla Roma. Una città così storica, così bella, con una squadra così popolare... Anche per la mia famiglia era la soluzione migliore: qui c’è il volo diretto per Buenos Aires. Trovavo una squadra che già giocava per lo scudetto. Non avevo dubbi. C’era tutto. Per me la Roma era la Roma. E poi a Genova avevo Burdisso come compagno. Mi parlava della città, della squadra, dei tifosi che erano caldissimi, cosa importante per noi argentini. Stava sempre a parlare della Roma e dei tifosi».
Quanto è vero che avevi pensato di smettere?
«È vero. Quando ero più piccolo era un problema di autostima, pensavo di non avere le qualità. Ci sono tanti giocatori che magari a dodici o tredici anni sembrano fortissimi, poi a diciotto si perdono e non arrivano a giocare nemmeno in B. Al Boca c’erano dei ragazzi fortissimi, ma non sono emersi. Così come accade l’inverso. Nel mio caso l’allenatore non mi faceva giocare».
Com’è stato il tuo primo incontro con Monchi?
«Il primo che ho conosciuto è stato Victor Orta. Lavorava con Monchi, perché io sono arrivato nella seconda squadra, il Siviglia Atletico. Un paio di giorni dopo l’ho conosciuto, ma non così a fondo perché lui si occupava della prima squadra. La curiosità è che con l’allenatore che avevo nella Primavera, Jimenez, stavo in panchina. Dopo quattro mesi il tecnico della prima squadra andò via e gli subentrò il mio allenatore che mi portava ad allenarmi con loro, anche se non potevo giocare perché non avevo il passaporto, ero extracomunitario. Quando ho preso il passaporto mi ha portato definitivamente in prima squadra. Magari non mi vedeva ancora pronto. Io avevo giocato con la seconda squadra ma era un campionato di serie B di livello, ho giocato contro giocatori forti come Ayala e altri, era quasi come giocare in serie A. Lì è iniziato il rapporto con Monchi».
Cos’ha di particolare Monchi?
«Ha qualcosa che altri non hanno. Non è normale che abbia preso tanti giocatori sconosciuti e li abbia rivenduti al triplo o anche più. Dani Alves, Rakitic, Bacca, Fazio…».
Anche Perotti. Però Perotti non si vende. Si ferma a Roma, per quanti anni?
«Dipende da Monchi…». (ride).
Tuo figlio nascerà e crescerà qui a Roma…
«Certo! Volevamo una bambina, vediamo come sarà questo secondo maschio, se è tranquillo ci pensiamo, c’è tempo. Io per adesso ho ancora due anni, il mio procuratore sta parlando con Monchi. Voglio restare, non ci saranno problemi perché quando arrivi a una certa età diventa tutto più facile. Quando ero ragazzo mi arrabbiavo di più».
Tu hai giocato con Riquelme, sei stato convocato da Maradona e hai sostituito Messi in nazionale…
«E ho giocato con Totti e ora con De Rossi. Il calcio mi ha dato davvero tanto».
De Rossi vorrebbe giocare alla Bombonera. Dopo l’espulsione col Genoa cosa ti senti di dire su di lui?
«Io lo vivo tutti i giorni nello spogliatoio e l’ho visto dopo quell’episodio. Lui non è uno che fa certe cose per farsi vedere o per dimostrare che è cattivo. Lui è proprio così, vive la partita in modo particolare. Se non c’era la Var magari non se ne sarebbe parlato. Dobbiamo stare più attenti. Ma di solito anch’io subisco di tutto… Noi stiamo con Daniele, sappiamo quanto era dispiaciuto. I due punti ci servivano, ma lui è il giocatore che ora rappresenta questa squadra, è il mio capitano, è il capitano di tutti, anche della città. Tu ti rendi conto quando un giocatore è un coglione che ti fa perdere una partita e lo vuoi “ammazzare”… Lui non è così, non è servito che ci dicesse niente».
La Roma ti porterà al Mondiale?
«Se non fossi mai andato in nazionale direi di no. Ma dopo la convocazione, anche se ho ancora poche possibilità di farmi vedere fino al Mondiale, ci penso. Gioco la Champions e sono in una squadra che punta allo scudetto e sto avendo continuità, a differenza del finale della stagione scorsa...».
Colpa di Spalletti? Saresti rimasto con lui allenatore?
«Non direi “colpa”, sono scelte. Non so se sarei rimasto, probabilmente no, non sarei rimasto. È vero che quel gol al Genoa mi ha cambiato molto. Il calcio a volte è ingrato,un episodio ti toglie tanto e un episodio ti restituisce tanto».
A proposito, ti ha ringraziato Totti?
«No, no… Era una giornata particolare, era impossibile dirgli addio con un pareggio che ti fa giocare i preliminari di Champions, penso sia stato importante non tanto per entrare in Champions quanto per lui, non poteva finire diversamente, con tutto lo stadio pieno».
Col Genoa è stato il tuo primo gol su azione della stagione scorsa. Forse è un po’ un tuo limite quello di segnare poco.
«Ma penso che la Roma non mi abbia preso perché facevo venti gol all’anno,quanto peri l mio modo di giocare, per gli assist, per il dribbling, perché so aprire il gioco. So che come attaccante devo segnare di più, però fino ad ora sono contento. Poi l’anno scorso ho fatto dieci gol, si può parlare se su azione o punizione o rigore. Però i rigori bisogna segnarli… Certo, vorrei anch’io provare a fare 15 gol».
Con Di Francesco già da Pinzolo stai lavorando in maniera specifica sul tiro: è una richiesta che ti fa spesso quella di accentrarti e tirare?
«Sì, lui è stato l’allenatore che me lo ha chiesto di più. Per me è importante, è bello avere un allenatore che ti supporta, che ti motiva a puntare l’uomo, che quando prendi palla sai di avere la sua fiducia. Con un allenatore che ama di più il possesso palla magari mi troverei un po’ in difficoltà, perché il mio forte è puntare l’uomo.Quel lavoro che mi ha fatto fare da Pinzolo penso si stia vedendo in campo».
Di Francesco è stata una bella scoperta per te e la squadra?
«Ogni allenatore ha il suo modo di fare, poi alla fine fa delle scelte. Spalletti a un certo punto non mi faceva giocare, ma la squadra andava bene. Quando ha messo la difesa a tre e cambiato il ruolo di Nainggolan, è stato vincente. Non è vero che non voglio giocare a destra,è solo che preferisco a sinistra. Sia io che El Shaarawy abbiamo dimostrato che rendiamo meglio a sinistra. Però capisco gli allenatori e le loro idee. Con l’Udinese abbiamo fatto un tempo per uno. Quindi, è chiaro, preferirei giocare a sinistra, ma non sono di quei giocatori così forti che possono permettersi di scegliere il ruolo. Poi pur di giocare, lo farei anche in porta».
C’è una cosa in particolare che ti piace di Di Francesco? Credete in lui?
«Di Francesco mi piace perché pretende sempre di più. Vuole attaccare. Qualche volta devi avere equilibrio, è vero, ma a me da attaccante questa libertà dà molta fiducia. Di Francesco mi ha fatto crescere e mi ha fatto fare meglio dell’anno scorso. Noi crediamo in lui fin dal primo giorno, ma anche in noi stessi, nel gruppo. Il bello è che non ti rilassi con lui, adesso per esempio abbiamo vinto il derby, è importante, prendi fiducia. Lui vuole sempre di più, è molto importante per la nostra testa».
Com’è la Roma?
«Siamo completi. Non so quante squadre hanno due giocatori forti per ruolo. È vero che sono andati via dei giocatori importanti, ma ne sono arrivati altri, abbiamo avuto sfortuna con Schick e Karsdorp».
Credete in voi stessi anche dopo il pareggio di Genova?
«Certo, manca tanto. Dobbiamo recuperare una partita, mancano alcuni scontri diretti. Noi abbiamo incontrato già quasi tuttie con l’Inter non meritavamo di perdere».
A proposito dell’Inter, perché non ti hanno dato il rigore? Cosa avete detto all’arbitro?
«Di tutto… (ride). Ma c’è il Var. Quando succedono episodi di questo genere pensi che ce l’hanno con te. Bisogna essere più forti di questi pensieri negativi. Ci vuole prudenza perché non sai quando usano la tecnologia, ma sai che la usano, quindi è inutile buttarsi o fare una sciocchezza, è dannoso. Noi pensiamo a noi stessi e al nostro percorso tecnico, finora è stato positivo. Con l’Inter non meritavamo la sconfitta. L’unica partita che abbiamo sbagliato è quella con il Napoli, anzi solo il primo tempo di quella partita».
Bisogna cercare di vincere qualcosa quest’anno, anche una Coppa Italia.
«Certo».
Come ti sembra Schick?
«Speriamo che possa superare questi problemi che ha avuto. Ha facilità di fare gol, anche subentrando. Può giocare come numero nove o come esterno. Nei pochi minuti di Genova si è visto che è diverso, ha la qualità che a noi serve, è completo. È giovane, non dobbiamo chiedergli di fare subito una tripletta. Sarà molto importante, è fortissimo».
Kolarov ha portato qualcosa di diverso nello spogliatoio?
«Sì, è un giocatore di esperienza, già dal primo giorno è uno che parla. Non è uno che ride. Ma lo hanno detto anche di me, ma nello spogliatoio sono come gli altri. Sul campo c’è poco da ridere».
Sembri più sereno quest’anno.
«Può darsi che sia cambiato qualcosa, che sono un po’ più luminoso. Quel gol mi ha cambiato la vita, magari anche i tifosi hanno cambiato il pensiero che avevano su di me, i primi sei mesi avevo fatto bene e la gente era contenta, poi ho giocato meno e quando entri e non riesci a fare bene i tifosi lo vedono. Poi abbiamo avuto quella settimana negativa perdendo Uefa e Coppa Italia. Diciamo che quel gol al Genoa ha unito tutto, la fiducia in me stesso e il pensiero dei tifosi».
Due gol nei derby uniscono a prescindere.
«Non segno tanto, ma ne ho fatti di importanti. Più decisivo quello di quest’anno che quello del 4-1, lì la partita era chiusa».
La classifica delle avversarie? «La più forte è il Napoli nel modo di giocare, soprattutto quando non riesci a prendere palla. A me è capitato contro il Barcellona di Guardiola, tu andavi lì e non potevi fare nulla, magari il Napoli non ti fa sei gol, ma nel possesso palla sono molto vicini. Ma se giocano sempre gli stessi sentiranno un po’ di stanchezza. Finora hanno fatto un calcio bello ed efficace. Ha giocato bene, ha vinto e per questo sono davanti. Noi quest’anno abbiamo la squadra per vincere lo Scudetto, anche se è vero che nella passata stagione non c’erano altre squadre come l’Inter».
Non hai nominato la Juve.
«Non mi sembra stia come le precedenti stagioni. L’ho battuta sia col Genoa che con la Roma, ma la vedo indebolita. Non tanto per i giocatori che restano fortissimi, come Higuain e Dybala, ma non vincono le partite con la stessa facilità che ha il Napoli che ti spacca la porta. Non è impossibile come negli altri anni. Certamente resta una delle più importanti del campionato».
A proposito di numero 10, la prenderesti?
«No, no. La prenderei solo se Francesco viene e me la dà, mi è sempre piaciuto come numero ma l’8 mi piace, mi rappresenta a Roma e poi so quello che significa per i tifosi il 10. Sta bene dove ha finito».
E tu dove sei finito?
«Nel posto dove sarei voluto essere. Nel posto dove è cambiata la mia vita e dove nascerà il mio secondo figlio».
(Il Romanista-T. Cagnucci, G. Fasan, P. Torri)