Smetto quando voglio

26/05/2017 alle 15:34.
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IL TEMPO (T. CARMELLINI) - La passione per questo sport non può essere arginata da un contratto e forse è proprio questa una delle cose che rende ancora il calcio una roba unica. Non succederebbe altrimenti (e accade eccome) di vedere campioni, più o meno conclamati, che continuano a tirar calci a un pallone a cinquant’anni suonati in qualche categoria dimenticata dal Signore. Perché è chiaro: non ci si venga a dire che la scelta di sia dettata dai soldi. Di quelli nella sua pazzesca carriera da calciatore, nella Roma e solo nella Roma, ne ha guadagnati quanti ne ha voluti. «Pe fa’ du’ guere» per dirla alla romana. Insomma il problema non è certo quello, ma molto più probabilmente la voglia di cominciare una nuova vita che non necessariamente deve togliere qualcosa a quella precedente (anche se inevitabilmente un po’ lo farà). Anzi… Lo diciamo senza sapere dove e se andrà a giocare al calcio (di certo non in Italia). Per una volta non ha voluto ascoltare nessuno e ha tirato diritto per la sua strada. Vuole giocare ancora: comunque. E se non potrà farlo nella Roma lo farà altrove: questa al momento sembra l’unica certezza. E la Roma, che ha scelto giustamente secondo i suoi dettami tecnici di farne a meno, deve rispettare questa scelta. Ci hanno provato in tutti i modi da in giù a convincerlo che era tempo di smettere, di dire basta col pallone giocato.

Gli hanno proposto qualsiasi cosa, ruolo da dirigente per «x» anni, da vetrina giallorossa in giro del mondo: una sorta di assegno in bianco sul quale il doveva solo mettere la cifra «morale». Ma non sono stati in grado di offrirgli l’unico ruolo che in questo momento il calciatore si sente di voler e poter ricoprire; quello del calciatore, del . Perché quel«virus» che ti si muove dentro è stato più forte di tutto e ha vinto il suo derby più intimo. Resta la fitta al cuore per le migliaia di romanistiche lo hanno «dentro» da un quarto di secolo: ce l’hanno lì, come un pezzo della propria famiglia, della propria vita. Se c’è una cosa semmai che si può rimprovrare (con i se e i ma del caso) a è il modo in cui ha comunicato la sua scelta alla società. Ma dire che è stato lui la causa del secondo addio di è in generoso. Se un tecnico, ossessionato a dismisura dalla sua personalità, lascia un posto come Roma, si vede che non era l’uomo giusto. Magari andrà a vincere altrove (qui non c’è riuscito e chiuderà con gli stessi punti di che però di partite ne aveva giocate 3 in meno), ma per farlo a Roma serve una marcia in più. Quella che ha dimostrato di avere e che altri non avranno mai.

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