IL FATTO QUOTIDIANO (L. DI BARTOLOMEI) - Per venticinque anni ti abbiamo ammirato (mai abbastanza) e coccolato (a volte troppo) per cui oggi scriverti è dannatamente difficile. Caro Francesco che dirti di non scontato, di non abusato, di non retorico in una giornata come questa? Che dirti senza un po’ di tristezza e una lacrima perché in fondo il tempo che passa per tutti tocca anche i nostri supereroi? Perché se è vero che ieri è stata la tua ultima partita con la Roma – e forse anche la tua ultima gara – allora ognuno di noi amanti di calcio, amanti di te, si sente di dover condividere qualcosa. Una sorta di rito collettivo per alleviare questo momento, per esorcizzare questo passaggio. Perché venticinque anni sono tanti. In una città che frantuma persino il marmo dei suoi monumenti più meravigliosi, specchio di un Paese troppo spesso ingrato e corrosivo con i talentuosi, tu ci hai sempre regalato gesti d’estasi.
Intanto sornione come il Tevere, hai visto passare sulle tue sponde tre papi, sei sindaci e dieci presidenti del consiglio: e siccome a Roma tutto è politica allora si potrebbe dire che, in un certo senso, con te oggi finisce anche la seconda Repubblica. Se penso a tutte le cose che in questi ultimi anni hanno contribuito a farmi diventare adulto forse il tuo addio è quello che mi sta facendo definitivamente abbandonare la parte più adolescente di me: è come se ieri un secondo orsacchiotto, quello con cui dormivamo tutti da 25 anni, avesse deciso che era tempo di lasciarci andare.Forse anche per questo, per questa emozione collettiva che non può essere appannaggio di uno, mi sembra quindi doveroso evitare di rinchiudersi nei ricordi e in quella aneddotica per cui chi la racconta mette se stesso al centro della storia: un atteggiamento tra l’altro tipico dei discorsi da funerale mentre tu Francesco per fortuna, stai talmente bene e sei talmente in forma che potresti anche decidere di non smettere.
Questi tuoi ultimi campionati mi hanno ricordato più che mai una frase di Liedholm: “Ci sono giocatori che vanno verso il pallone, quasi tutti. E ci sono palloni che vanno dai giocatori. Succede solo ai più bravi”. Ed ora qualunque saranno le tue scelte (e qualunque dovessero essere davvero in ogni senso) non cambieranno nulla rispetto a tutto quello che sei stato e sempre sarai per noi e in particolare per la mia generazione di romanisti: quelli che per cui sarai sempre capitano.
Certo la nostra speranza è quella di continuare a vederti impegnato con i nostri colori, girando il mondo per diffondere i valori della romanità o sul campo ad insegnare ai bambini; ma in ogni caso ovunque ti porterà questa tua nuova sfida, ovunque appagherai il tuo “amore per il calcio”, quella passione “talmente profonda che non puoi smettere di alimentarla” per noi andrà bene. Anche dovesse esserci una temporanea separazione, un arrivederci, ai romanisti nessuno potrà mai chiedere se vogliono più bene a mamma o a papà. E noi ti vorremmo sempre bene. Tanto quanto ne vogliamo a quella maglia gialla e rossa che è la sola che trattiene il sudore. Se non ti senti di smettere allora non farlo: gioca, viaggia, gira il mondo tirando calci ad un pallone e ricorda a tutti quanto è bella la nostra città eterna. Vai ragazzone di Porta Metronia, vola libero senza essere l'alibi di nessuno o gioca senza sentirti costretto a portare la squadra sulle spalle. Ciao Francè, mandace na cartolina. Ci vediamo prestissimo, Luca.