Chi vince e chi perde sullo stadio della Roma a Tor di Valle

26/02/2017 alle 00:43.
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NEXTQUOTIDIANO.IT -Un lungo incontro segreto di mediazione finito giovedì notte. Un ok al progetto strappato ai consiglieri (non a tutti: otto sono dissidenti) nella riunione di venerdì in Campidoglio. Poi la convocazione di A.S. Roma e Luca  per chiudere i dettagli e scegliere la comunicazione all’uscita. E così alla fine sullo a vince il compromesso tra Virginia Raggi e i proponenti, che lascia con il cerino acceso in mano i dissidenti come l’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo che in una dichiarazione all’agenzia DIRE aveva detto che il luogo non era idoneo. Ma a perdere non è soltanto lui: ad occhio anche Eurnova cede sulla realizzazione delle torri e il fronte dei grillini ambientalisti finisce spaccato tra chi ancora contesta e chi fa buon viso a cattivo gioco. E poi: il silenzio glaciale degli esponenti del Partito Democratico sia in Comune che in Regione rivela la loro rovinosa sconfitta in un dossier in cui a via della Pisana sono stati traditi dalla loro incapacità di prendere in mano la situazione mentre in Assemblea Capitolina, semplicemente, la partita non si è mai giocata. Last but not least: dal ridimensionamento del progetto deriva, come era prevedibile, un ridimensionamento anche delle opere pubbliche che il proponente si era impegnato a realizzare: quindi a perderci sono anche i cittadini romani. Quello che però l’ha presa peggio sui denti non può che essere Paolo Berdini: mentre si lavorava a una mediazione che prevedeva il taglio delle cubature l’ex assessore all’urbanistica ha puntato tutto sul no allo stadio per far saltare il progetto e poi si è dilettato nella diffamazione anonima della sindaca. Questo lo ha costretto a togliere la sua faccia da un compromesso comunque potabile e il suo deretano da una poltrona in cui sedeva davvero comodamente.

Il taglio delle tre torri di Libeskind e quello delle cubature cambia in maniera definitiva il progetto della delibera 132 firmata nel 2014 dall’allora sindaco Ignazio Marino e dall’assessore Giovanni Caudo: sarà necessario un altro atto e, a questo punto anche una nuova Conferenza dei Servizi. Ma la A.S. Roma invece sostiene il contrario e ritiene che si possa concludere l’iter autorizzativo il 6 marzo e presentare la documentazione preliminare il 3 (anche se si parla anche di un rinvio di un mese chiesto dai proponenti). Una tesi contestata ferocemente da tutti. Poi c’è la questione dell’apposizione del vincolo: se prima la Conferenza poteva essere il luogo in cui superare le mosse della Soprintendenza, il suo fallimento e l’eventuale riconvocazione farebbe pensare al contrario. A cadere sono il prolungamento della metro B, il ponte aggiuntivo sul Tevere e la bretella sulla Roma-Fiumicino: tutte infrastrutture di cui la città aveva bisogno a prescindere dallo stadio e che però il Comune di Roma non può realizzare per la penuria di liquidità. Le infrastrutture sarebbero state ovviamente utilizzabili per tutta la settimana e non soltanto il giorno della partita. Da questo punto di vista ci perdono i cittadini. Che si possono però consolare con altro: il progetto avrà delle certificazioni ambientali superiori rispetto a quelle di partenza e verranno piantati più alberi rispetto alla versione iniziale. Anche i materiali utilizzati saranno «innovativi» e il parco rimane.

A perderci, e male, sono i grillini del no. A parte gli otto consiglieri comunali che non erano d’accordo con la mediazione raggiunta da Virginia Raggi, traspare l’irritazione o la rabbia in molti esponenti dei 5 Stelle, sia tra gli eletti che tra gli attivisti. Emblematico è il tweet di Silvana Denicolò, consigliera regionale del Lazio, mentre anche Roberta Lombardi e la sua crew romana devono essere molto arrabbiati anche se probabilmente diranno, come è già capitato, che in realtà loro hanno sempre puntato a questo. Un silenzio glaciale si osserva anche dalle parti di Francesco Sanvitto, il portavoce del Tavolo Urbanistica del M5S ieri cazziato con parole definitive da Beppe Grillo sul blog. Altri, come la sorella di De Vito Francesca, fanno buon viso a cattivo gioco: «Credo che sia meglio convincere i consiglieri “dissidenti” a costruire uno stadio che darà lavoro e sviluppo alla Capitale piuttosto che portarli da un notaio per defenestrare un Sindaco democraticamente eletto…..ogni riferimento è puramente casuale»

Ma la sconfitta più rovinosa la registra la Regione Lazio nei suoi esponenti principali: Nicola Zingaretti e l’assessore Michele Civita. In sede di Conferenza dei Servizi il Partito Democratico laziale ha rinunciato a difendere gli investimenti privati per le solite ragioni di bacino elettorale, ma ha anche commesso una serie di errori strategici: ha regalato ai grillini un mese di sospensione della Conferenza per facilitare il raggiungimento dell’accordo di ieri mentre era nei suoi poteri negarlo. Ma non c’è solo questo: l’iter della Conferenza dei Servizi prevedeva l’ultima parola per la Regione e, in successione, la possibilità per i proponenti di adire al governo in caso di mancata decisione finale. Raccontano i beninformati però che la Roma si fosse convinta a seguire l’iter giudiziario proprio dopo aver registrato la mancanza di volontà politica a dare l’ok all’opera in caso di fallimento della Conferenza dei Servizi. Perché c’era un ragionamento politico sotteso: alla fine la responsabilità del no allo se lo sarebbero preso i grillini, con tutto ciò che elettoralmente comportava. La strategia politica dello struzzo però non ha pagato: adesso il Comune ha detto sì. Alla nuova delibera che passerà in Aula il PD potrà dire solo sì o sissignore. Oppure votare no, dicendo che era meglio il progetto del sindaco che ha dimissionato dal notaio. La soprintendenza dei Beni Culturali, che dipende dal ministero retto da Dario Franceschini, ha invece apposto il vincolo alle ormai famose tribune di Lafuente. Probabilmente quel vincolo verrà superato in sede politica o giudiziaria, ma se ciò non avvenisse – parliamo in teoria, ovviamente – ci troveremmo di fronte a un meraviglioso cortocircuito, con i grillini che dicono sì allo stadio e il governo che dice no. E il suicidio politico sarebbe definitivamente completato.

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