IL TEMPO (F. M. MAGLIARO) - Se davvero la As Roma vuole portare a casa lo Stadio di Tor di Valle deve correre. Ma correre tanto. Le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma - se e quando diverranno effettive - infatti, ad oggi, non bloccano l’iter amministrativo del progetto. Che è comunque fermo ai box in attesa che i proponenti consegnino una bella fetta di documentazione mancante nel dossier «progetto definitivo».
A ricordare, in estrema sintesi, i principali documenti mancanti: sondaggi geologici sull’intera superficie interessata dal progetto, relazioni geostatiche e sismiche, piano particellare degli espropri, computo metrico estimativo. In sostanza, parliamo della «ciccia» economica del progetto. Manca, poi, la soluzione (acquisto o esproprio) per le aree di proprietà dei privati (leggi: quasi totalmente Gruppo Armellini) su cui ricadrebbe poco meno della metà del progetto. Senza considerare la questione metropolitana che è fra i cardini del pubblico interesse e il cui progetto, quello sulla Metro B, è stato considerato improponibile e dannoso da Atac e Dipartimento della Mobilità.
Ma, consegnate in Campidoglio - che non chiude mica i suoi uffici per le dimissioni del Sindaco - queste carte, il progetto può davvero passare in Regione. Regione che, a quel punto, avrà 180 giorni di tempo, fissati dalla legge, per esaminarlo, emendarlo, integrarlo e, poi, approvarlo. E se per il problema metropolitana (da delibera, occorrono 16 treni l’ora per trasportare almeno il 50% dei tifosi su ferro ma non è specificato in modo univoco se si deve usare la linea B, come voleva Marino, o la Roma-Lido, come vogliono i tecnici) la questione è più progettuale che di sostanza, per i documenti mancanti c’è poco da fare: vanno predisposti e consegnati o il progetto non va avanti.
La chiave per avere lo Stadio sta tutta nella delibera di pubblico interesse, votata dall’Assemblea Capitolina il 22 dicembre scorso, e che costituisce l’atto di avvio del procedimento. Fino a che il procedimento non verrà chiuso, la Delibera potrà essere modificata o anche cancellata. Solo la conclusione dell’iter in Regione, terminando l’iter amministrativo (va ricordato che la legge indica come «sostitutivi» di tutti i vari permessi proprio il via libera della Conferenza di servizi regionale), rende giuridicamente e tecnicamente perfetto e non più modificabile l’intero processo.
Quindi, appunto, la Roma deve sbrigarsi. Le elezioni comunali a primavera potrebbero, infatti, far segnare in Consiglio comunale una Giunta e una maggioranza contrarie, a qualsiasi titolo, alla realizzazione dello Stadio. In quel caso, perciò, se l’iter fosse ancora aperto, la nuova maggioranza potrebbe cancellare la delibera o modificarla in modo così sensibile (ad esempio con una drastica riduzione di cubature) da rendere l’«affaire» non più conveniente e spingere i proponenti ad abbandonare il progetto.
In zona Cesarini, poi, alla Roma resta sempre una scappatoia: se, una volta consegnate le carte e aperta la Conferenza di Servizi regionale, la Regione la tirasse troppo per le lunghe (come accadde per il Comune durante quella preliminare dello scorso agosto), trascorsi i 180 giorni stabiliti dalla legge, i proponenti possono sempre ricorrere a Palazzo Chigi, bypassando quindi sia il Campidoglio che la Regione, ed evitando che la nuova maggioranza in comune possa rimetter mano alla delibera.