LA REPUBBLICA (M. PINCI) - La buona notizia è che dopo un inseguimento di due anni ha superato la Juve. La cattiva è che non ha ancora trovato se stessa. La Roma per 90 minuti è salita sulla macchina del tempo tornando agli stenti di marzo o aprile, come non ci fossero stati Dzeko, Salah e una campagna acquisti da 70 milioni di euro. E’ solo la prima di una cinquantina di partite, ma nell’isterica piazza romana basta un pari a Verona e qualche scossa di nervosismo - De Rossi uscito nerissimo e scagliando bottigliette, per poi prendersela pure col fido Vito Scala - per rievocare le tinte crepuscolari dell’ultimo finale di stagione.
Eppure domenica Garcia si presenterà alla Juve con un punto di vantaggio. Non l’aveva più ripresa dopo il sorpasso bianconero del novembre 2013, 637 giorni fa. L’occasione giusta per fare i conti con le proprie ambizioni: 'Volete vincere lo scudetto? Dimostrate di meritarvelo', sembra dire quella serata di gala fissata prima ancora della fine d’agosto. Prima ancora che Dzeko abbia preso confidenza con la Serie A. A Verona non è dispiaciuto per nulla, ma la sensazione è che il bosniaco abbia capito la Roma più di quanto la Roma non abbia capito lui: “Servitemi alto”, chiedeva, invece lo vedevi costretto a fare il regista, a chiudere in marcatura, a crossare. Non certo l’unico equivoco: Florenzi non è ancora un terzino, Castan non è ancora se stesso, Garcia invoca un centrale e due laterali ma domenica avrà solo Kolasinac, se oggi il Psg non libera Digne. Poi forse Bruno Peres. Intanto si accontenterebbe di qualche cessione per liberarsi degli scontenti. Proprio l’allenatore ha scontentato mezza Trigoria impiegando il “raccomandato” Gervinho: in due mesi dalla cessione all’Al-Jazira a una maglia da titolare. Contraddizione più stridente dei 90’ in panchina di Totti all’esordio, mai successo in un quarto di secolo. Bastasse questo per voltare pagina.