LAROMA24.IT - Ieri pomeriggio all'Olimpico la Roma è riuscita a non battere un Parma, ultimo in classifica, il cui futuro finanziario è sempre più incerto. Un risultato a sorpresa, visto che i giallorossi potevano contare nuovamente su Gervinho e, per la prima volta, del nuovo acquisto Doumbia. Proprio gli africani sono stati i più deludenti, non riuscendo a pungere. La squadra, a detta dello stesso Garcia, è ormai senza alibi anche se il dramma sportivo è rappresentato dal fatto che non si riesca a trovare una soluzione a questo momento della Roma. Per questo motivo risulta difficile guardare con ottimismo al pareggio della Juve a Cesena visto che, pur facendo rimanere i giallorossi a 7 punti di distanza, lo Scudetto che sembra sempre più lontano.
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Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.
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CORRIERE DELLA SERA (M. SCONCERTI)
La Juve conferma la sua fase confusa, è spesso messa sotto da un Cesena che corre molto e ha giovani attaccanti di avvenire. Ma è la Juve che manca come personalità. Cambia poco per la storia dello scudetto, ma i bianconeri sono stanchi quasi quanto la Roma. (...) Una Juve anonima senza il suo uomo più importante, Tevez. Ma anche la Roma sembra esaurita e soprattutto incompleta. Garcia non ha mai avuto veri attaccanti. Ha avuto giocolieri magri e veloci, nessun centravanti. Questo alla fine sta facendo la differenza. Forse la Roma sta pagando a Totti un prezzo molto alto per la sua fedeltà. O forse è solo Totti che è arrivato sfinito a un passo dal traguardo. Ma sono mancati i suoi dieci gol per essere competitivi.
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IL TEMPO (T. CARMELLINI)
Dopo aver visto l’insulso Roma-Parma una domanda viene quasi automatica: ma come fa una squadra come questa ad essere seconda in classifica con cinque punti di distacco sulla terza? La risposta è da leggere probabilmente nella pochezza di questo campionato che continua ad avere un solo padrone soprattutto per mancanza di avversari: perché se l’anti-Juve era la Roma dopo questo avvio di 2015, a dir poco disastroso, le valutazioni collettive vanno completamente riviste. Anche se ieri, nonostante questa partita inguardabile, i giallorossi non hanno perso punti dalla prima fermata sul pari dal Cesena.
Troppa la differenza tra Roma e Parma per accettare questo 0-0 fatto di nulla, senza gioco ne idee dal quale la squadra di Garcia e lo stesso tecnico, escono drasticamente ridimensionati. Non sono bastati i trentasette punti di distanza tra le due squadre, il fatto che il Parma, che ha subito 47 reti in campionato e ieri neppure una, sia già con un piede in «B» e molto probabilmente questa settimana fallirà anche dal punto di vista economico (purtroppo).
Come non è bastato un divario tecnico enorme tra un gruppo costruito per puntare allo scudetto e una squadra di provincia che aveva come unico obiettivo la salvezza. Così non va e gli alibi delle assenze mai come ora non possono giustificare questo scempio clamoroso che continua a rimediare fischi dalla sua tifoseria.
Anche ieri la squadra è uscita tra gli insulti e i cori, molto «chiari», di una curva Sud a dir poco indignata. Significativo il messaggio dell’Olimpico intero ai tre fischi di Giacomelli: nessuno è più disposto a concedere altro tempo a questa Roma che non vince una partita di campionato all’Olimpico dal 30 novembre scorso e che ha un tabellino da metà classifica in questa seconda parte di stagione. Il bilancio delle ultime dieci partite è impietoso: tre sole vittorie e sette pareggi di cui cinque di fila in casa (senza considerare la sconfitta in Champions, la vittoria ai supplementari di Coppa Italia contro le riserve dell’Empoli e la sconfitta, sempre in coppa, contro la Fiorentina. In questi primi due mesi e mezzo dell’anno la Roma ha realizzato solo undici dei ventuno punti disponibili, in tutto sette in meno della scorsa stagione.
Il segnale è chiaro e la Roma, Garcia in testa, devono correre ai ripari perché è impensabile che si possa arrivare in fondo così: nonostante anche gli altri sembra stiano a un clamoroso «ciapa no».
Ma risultati a parte, la cosa che più preoccupa è la mancanza assoluta di gioco: la Roma guizzante, profonda e micidiale di inizio stagione e che tutti avevano eletto in grado di esprimere il miglior calcio, che fine ha fatto? Garcia pensava di poter risolvere la carenza di gol con il rientro di Gervinho e l’arrivo di Doumbia, ma si sbagliava e di grosso. I due ivoriani freschi vincitori della Coppa d’Africa, hanno probabilmente pagato lo stress da rientro e alla fine il migliore attaccante è stato, di nuovo, il giovane Verde.
E qui entra in ballo la responsabilità del tecnico che sembra in confusione: De Rossi e Keita non possono giocare insieme (la squadra perde velocità e si incarta a centrocampo) e lì davanti meglio mandar dentro qualche giovane col fuoco dentro piuttosto che campioni «spenti» o fuori condizione. Qualcosa si è rotto nell’ingranaggio perfetto di Garcia che tutti avevamo indicato quale principale artefice del miracolo della «nuova Roma», finita seconda nella scorsa stagione e in corsa per il titolo quest’anno fino al giro di boa. Ora tocca a lui trovare la soluzione per rimettere in piedi la sua squadra prima che diventi troppo tardi.
L’unica nota positiva è l’imminenza dell’Europa League che già giovedì prossimo darà ai giallorossi l’occasione per riscattarsi: ammesso che questa squadra ne abbia capacità e forza. E per una volta Garcia a fine gara dribbla quando qualcuno gli tira in ballo la parola scudetto (fin qui da lui usata senza indugi): «Ora meglio pensare al gioco» replica il francese. Ecco, con la Juventus a sette punti (ieri ennesima occasione persa per la Roma), forse sarebbe il caso.
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LA REPUBBLICA (G. MURA)
LEGGO (F. MACCHERONI)
Non siamo al «Garcia vattene », sia chiaro, ma qualcosa deve accadere. È tempo che qualcuno nella Roma spieghi al tecnico che la Roma gioca male. Anzi, non gioca. Che subisce squadre in cui le terze scelte giallorosse potrebbero ben figurare. Qualcuno, sempre all’interno di una società che continua a spendere valanghe di milioni, dovrà domandarsi se Garcia sia disperato, se abbia bisogno di assistenza in un momento particolarmente confuso. Far esordire gli Ibarbo, Doumbia sperando che qualcuno arrivato da chissà dove e in chissà quali condizioni possa risolvere problemi che egli non riesce a risolvere in allenamento da mesi, non significa soltanto perdere tutto ciò che si rincorreva, significa disperazione. Un club che non riesce a scuotere il suo allenatore, è una società morta: la Roma non lo è sul mercato, non lo è economicamente. Pallotta batta un colpo. Respira invece la Lazio che ha altre ambizioni e altri investimenti da onorare. In questo caso la turbolenza è al vertice. Il guaio è che a Lotito le idee (alcune buone) si intruppano e nel groviglio si capisce soltanto che il silenzio è d’oro.
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GAZZETTA DELLO SPORT (A. DE CALO')
C’è un vento laterale, defilato dalla tempesta annunciata che incombe sul calcio italiano. Soffia da sud, ha colori mediterranei: segna una nuova tendenza, forse fragile, forse no. Il vento si infila in un vuoto che – indirettamente – chiama in causa il declino del Futebol made in Brasil. Per anni i brasiliani si sono sistemati nei tornei più importanti d’Europa, spalmandosi secondo tutte le declinazioni dei loro talenti. La Serie A è stata un palcoscenico di eccellenza, per decenni il vero punto d’arrivo sulla strada del successo e dei soldi. Il filone si è esaurito in tempi recenti, con le partenze dei Julio Cesar, Pato e Robinho, dei Marquinos e Thiago Silva. Ormai Maicon è l’unico giocatore nell’orbita della Seleçao, rimasto nelle squadre di vertice del nostro campionato. Nel tempo resiste la qualità degli argentini. (...) Poi ti capita un weekend come questo e allora capisci che qualcosa sta cambiando. Il viola Kouma Babacar, ha messo in moto la giostra con un match da fuoriclasse nell’anticipo di sabato. (...)
I match del weekend hanno riservato meno gloria agli africani più affermati. Da quando Samuel Eto’o ha messo piede alla Samp, i blucerchiati hanno rallentato un po’ il passo. Ma è innegabile che l’ex asso di Barça e Inter resta un centro di attrazione e mantiene il suo peso specifico pur senza essere atteso come un messia, tipo Gervinho nella Roma. L’ivoriano, reduce dal trionfo in Coppa d’Africa al fianco di Doumbia, può garantire un cambio di marcia in questo stanco finale di stagione dei giallorossi. L’affermazione del filone africano nelle squadre di A passa anche attraverso il ruggito dei big. Senza di loro è dura che l’Africa del pallone possa colmare davvero il vuoto lasciato dai brasiliani.
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IL MESSAGGERO (M. CAPUTI)
Il calcio giocato e l’emotività dei risultati non possono e non debbono far dimenticare neanche per un istante la gravità della vicenda Lotito. Peccato sarebbe decisamente meglio discutere della crisi della Roma, delle prestazioni di Parma e Cesena, della reazione della Lazio o della risalita dell’Inter. In Italia accade spesso che, dopo lo scalpore e l’indignazione, tutto passi poi in cavalleria, con il pallone poi è un classico. Questa volta no, almeno dobbiamo augurarcelo. Il calcio è un patrimonio significativo di questo paese, in senso economico oltre che di sentimenti. Tutti dobbiamo sentirci coinvolti e parte in causa. Anche chi governa il paese, non può sottrarsi dal compito. Il rinnovamento e il cambiamento della nostra Italia passa anche da qui.
È bene mettere in chiaro che sarebbe un grave errore ritenere il presidente della Lazio l’unico male o il problema del calcio italiano. Il ruolo di Lotito è figlio di un sistema che non funziona. Il silenzio dei presidenti venerdì scorso e le dichiarazioni di Beretta, sono la prova che il male si annida nella Lega. Se Lotito ha ottenuto potere, se gli si permette di agire e pensare come il deus ex machina del calcio italiano, lo dobbiamo proprio ai suoi cari colleghi presidenti. Questi hanno solo badato, e continuano a farlo, ai propri interessi. Uniti in piccole o grandi coalizioni a secondo del proprio tornaconto, mai per il bene comune. Non deve quindi meravigliare che questo tipo di potere e il modo di esercitarlo si estendano dalla Lega anche in Federazione. Chi dissente e vuole sottrarsi dalla morsa di tutto questo deve uscire allo scoperto. Il silenzio è conferma di colpevolezza. Al momento si registrano le prese di posizione della Roma con Baldissoni, della Juventus con Marotta e della Fiorentina con Andrea Della Valle. Oggi la tanta attesa riunione di Lega Pro e a giorni l’indagine della procura Federale ci daranno le prime indicazioni sull’aria che tira. Il vento deve cambiare.