LA REPUBBLICA (E. OCCORSIO) - Chen Feng, il finanziere cinese che opera su tutti i continenti, è ad un passo dal rilevare la quota di minoranza nella Roma Calcio. La maggioranza resterà a James Pallotta. A quel punto la volontà esplicita della proprietà mista cino-americana è di fare del team giallorosso una squadra davvero globale, più ancora del Barcellona o del Manchesyer United, in grado di far lievitare audience e affari. Questa è la notizia, ma il retroscena riserva una coincidenza. Nel 2008, si fece un gran parlare dell’interesse di George Soros, il re degli speculatori in grado di sbancare la Banca d’Inghilterra (successe nel 1992), come possibile acquirente per la AS Roma che viaggiava in acque fallimentari dopo il disastro della gestione Sensi. Soros ama Roma, si disse, dove viene spesso e ha una suite fissa all’Hassler (tutto vero), e poi per un finanziere del suo calibro un investimento del genere è una nuance. Non se ne fece nulla, anche se Soros confermò l’interesse potenziale.
Seguirono anni turbolenti, finché la squadra nel 2011 fu rilevata dal gruppo americano di James Pallotta, altro finanziere attivo negli hedge funds. Il 30% rimase in mano a Unicredit, il maggior creditore, che ricominciò la ricerca di un acquirente per quest’ultima quota. Ora l’ha trovato in un altro miliardario, appunto Feng, finanziere e imprenditore con partecipazioni in tutto il mondo. Ecco la coincidenza di cui si parlava: all’inizio degli anni ’90, albori del capitalismo cinese, Feng rilevò la Hunan Airlines per farne la regina del low cost orientale. Ma aveva pochi fondi (l’investimento iniziale fu di 10 milioni di yuan, pari a 1,6 milioni di dollari) e al momento di concludere il leasing dei primi due Boeing 737 negli Stati Uniti capì di aver fatto il passo più lungo della gamba. Stava per fallire, e chi intervenne per salvarlo? Null’altri che Soros. Il quale rilevò il 25% della Hunan, dimostrando come sempre l’occhio lungo perché dopo quell’intervento la compagnia si risanò, crebbe, conquistò il voluto primato fra le low costdell’Asia (e la quarta compagnia della Cina), e garantì ai soci cospicui dividendi.
Soros, secondo prassi, di quell’investimento si liberò negli anni con profitti stellari, e Hanan è stata addirittura consultata da Alitalia nella sua ricerca affannata di un partner internazionale. A Feng è andata benissimo. Tanto che dall’inizio degli anni 2000 gira per il mondo alla ricerca di altri investimenti interessanti. La Hunan l’ha fatta rientrare nella holding Nha e con essa ha comprato, per esempio, il 20% della catena spagnola NH Hoteles, nota in Italia per aver rilevato dai Marzotto la Jolly Hotels e per aver costruito alberghi di prestigio a Milano, Napoli e Amalfi. Poi ha fatto una fitta serie di altri acquisti sempre nel settore viaggi, turismo e nel tempo libero. Un comparto in cui si inserisce alla perfezione la voce “Roma”. La città innanzitutto: anche Feng ci viene spesso e scende allo stesso Hassler dove incontra il suo amico Soros. Proprio Soros gli ha parlato di quest’idea calcisticoaffaristica, un modo per abbinare la potenza di un marchio planetario come Roma (la città) a un potenziale formidabile veicolo di pubblicità globale e diritti tv, la squadra, che non a caso è già stata protagonista (ci andrà anche l’estate prossima) di tornei in terra cinese, oltre che in America. La Roma, nei disegni di Feng e del suo mentore Soros, dovrà diventare la prima squadra di calcio italiano veramente globale, in grado di raccogliere ovunque contratti pubblicitari con sei-sette zeri, diritti televisivi a iosa, e - si spera successi sportivi degni di tal fama.
Ma almeno da quest’ultimo punto di vista il lavoro di Rudi Garcia e Francesco Totti sembra garantire le migliori promesse. Va risolta ora la partita finanziaria. C’è da perfezionare l’acquisto di questo benedetto 30% che ha ancora sul groppone Unicredit. La banca si ritrovò nel 2010, alla scomparsa del patriarca Sensi, proprietaria al 100% non solo della squadra ma di tutte le proprietà del gruppo del costruttore romano: dai depositi petroliferi di Civitavecchia ai beni immobiliari. Un pacchetto da 400 milioni: tanti erano i debiti dei Sensi. L'Unicredit anziché far fallire il gruppo come pure era plausibile, convertì i crediti (ereditati dalla Capitalia di Cesare Geronzi, generosa finanziatrice del costruttore e della 'sua' Roma) in quote sociali. E poi cominciò il meticoloso smantellamento delle partecipazioni: molte proprietà sono state vendute (ora c'è un accordo per le più pregiate, i terreni di Torrevecchia in possesso di licenze edilizie), per l'oil terminal c’è una short list di gruppi internazionali. Insomma le perdite finanziarie sono scongiurate, anche perché intanto nel 2011 l’Unicredit ha venduto a James Pallotta il 70% della Neep, la finanziaria che controlla l’AS Roma. Ora è sul punto di cedere, sempre con la mediazione della Rotschild (e l’assistenza a Roma dello studio legale Gianni Origoni Cappelli), l’ultimo 30% a Feng.
Il quale dovrebbe comprare in tranches: subito il 20-25%, in un certo tempo (breve) il resto. Intanto la quota di circa il 5% che sarà tenuta garantirà all’Unicredit alcuni diritti come il veto su operazioni straordinarie, che comunque sono controllate da un comitato esecutivo di cui sono membri sia Pallotta che Paolo Fiorentino, numero tre della banca plenipotenziario per la faccenda Roma e presidente della Neep. La cifra che passerà di mano sarà di circa 100 milioni di euro: a quel punto Unicredit sarà riuscita nell’insperata impresa di chiudere una vicenda apparentemente inestricabile come quella della Roma, senza particolari perdite. Quanto ai due “novelli sposi” cinese e americano, non è stato semplice far digerire a Pallotta il partner di Shanghai. Quando il nome venne fuori a novembre (a introdurlo fu la Rotschild ma Soros ha fatto la sua parte), Pallotta non la prese bene. Cominciò a riempire le pagine dei giornali sportivi con interviste tipo “Feng chi?” piene di rancore verso Unicredit e Rotschild per averlo tenuto all’oscuro. Anche se è stato il primo beneficiario del maxi-rialzo in Borsa conseguente alla fuga di notizie. Ci è voluta tutta l’abilità mediatoria da un lato della Rotschild e dall’altra di Fiorentino per normalizzare la situazione, sotto una coltre di riservatezza gestita con oculatezza dall’area comunicazione della banca. Ora il contrasto è stato risolto, e le dichiarazioni di Pallotta degli ultimi giorni sono di tutt’altro tenore. Ottimista e possibilista.
Tanto che si comincia a ipotizzare una fase 2: dopo l’acquisto delle ultime quote da Unicredit, che a quel punto darà per chiusa la vicenda, Feng starebbe pensando a un ulteriore aumento della partecipazione. Sempre lasciando a Pallotta la maggioranza, il magnate cinese è tentato di contare di più nelle decisioni operative, a partire da quelle inerenti la costruzione del nuovo stadio della Roma (l’area prescelta è quella di Tor di Valle), visto dal socio americano come il motore principale per l’espansione del business legato alla squadra. Un vero polo dello sport, con la partecipazione di colossi come Nike (che dall’anno prossimo sponsorizza la squadra), Disney (che controlla tra l’altro la tv Espn) e forse perfino Apple. Un mega impianto, hanno detto i dirigenti della Roma venerdì all’inaugurazione della mostra per gli 87 anni della squadra, «da 200mila visitatori al mese». Feng non vuole farsi mancare l’affare, che rientra a pennello nel suo focus d’investimenti. Potrebbe metterci ancora 40-50 milioni, e poi partecipare ad un aumento di capitale dedicato. Il tutto con l’obiettivo di salire al 40% nella Roma, lasciando a Pallotta il 60. A quel punto la quotazione potrebbe essere ritirata: ma per ora gli azionisti si devono ritenere fortunati a godere di tutti questi balzi connessi con i nuovi assetti finanziari della “magica”. Il magnate cinese Chen Feng, patron del gruppo Hna, prossimo socio della Roma Calcio, visto da Dariush Radpour