LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Boston, Siviglia, Roma, Londra, Città del Capo. Ma anche Cina e Appiano Gentile. Il calcio unisce, il calcio divide. Venti mesi fa James Pallotta diceva di Walter Sabatini: “dopo due anni ottimi ho perso fiducia in lui, per il tipo di calciatori che arrivavano e perché quando dovevamo consolidare lui continuava a fare scambi su scambi”. L’ex Direttore sportivo, che nel frattempo aveva assunto la direzione tecnica delle squadre del Gruppo Suning, dividendosi tra la Cina e Milano, liquidava il contraddittorio: “ho sempre amato la genialità del presidente Pallotta ma non date peso alle sue parole dette in confusione”. Era da poco arrivato Monchi, che aveva stregato il numero uno della Roma, che tramite Baldini aveva messo sotto contratto. Una cosa è certa: la Roma finora ha avuto due direttori sportivi. Uno meglio dell’altro. Perché quando sono arrivati erano il massimo a cui si potesse ambire. Poi le storie finiscono, a volte a stracci, altre volte in modo elegante, dipende dal rancore, dagli interessi personali.
Il calcio unisce. Il calcio divide. Venti mesi dopo mentre mezza tifoseria sogna il ritorno di Sabatini, Pallotta replica a Monchi in versione “tu mi dai un buffetto, io ti rendo un cazzotto”. Dall’assenza di un piano B, all’avergli dato un sacco di soldi e un sacco di poteri, dall’errore di difendere l’ex allenatore (che manco nomina) e il suo staff a dispetto di santi e risultati, al rischio enorme di non arrivare fra le prime tre (magari, qua il rischio è di non stare tra le prime quattro). Un tornado. Non fosse che in mezzo a queste guerre dialettiche ci finisce la Roma, sarebbe da preparare i popcorn in attesa di un nuovo round. Alla faccia dell’ostentazione dei rapporti perfetti. Pallotta a novembre chiedeva conto della vecchia gestione tecnica, novembre è il mese in cui i rapporti col diesse spagnolo si raffreddavano fino a deteriorarsi. Succede. Capita. Tutto il mondo è paese.
Non fosse che in mezzo sempre la Roma ci finisce, non facendo mercato a gennaio, non esonerando il tecnico neanche dopo l’umiliante uno a sette in Coppa Italia, salvo ricorrere a marzo alla soluzione Ranieri, chiamato a compiere quella che su queste basi somiglia ogni giorno di più all’impresa che fece con il Leicester. Come dire: mentre andava in scena la versione restaurata della Guerra dei Roses, che a sua volta era preceduta dal superclassico C’eravamo tanto amati, la Roma veniva lasciata in balia degli eventi, mentre tutti si distraevano dal clamore suscitato da dichiarazioni fatte in Usa o a Pechino, a Roma o in Andalusia.
PS il titolo Todo el mundo es pais è fuorviante. Perché in spagnolo non significa nulla. In spagnolo si dice En todos sitios cuecen habas: “in ogni posto si mangiano le fave”. In questo caso, quella romanesca, risulta sempre amara e indigesta.
In the box - @augustociardi