Né "Capitan Futuro" né "Capitan Presente", semplicemente: capitano.
Si intravedevano già in quella lontana serata di fine ottobre, inizio di una storia che ha poco della favola; perché spesso le favole son racconti irreali, create a tavolino per insegnare qualcosa a qualcuno.
Perché la Roma era una favola per il piccolo Daniele, quel bambino che amava vestirsi di giallorosso e sognava un giorno di emulare il suo idolo Rudi Voeller.
Ma a volte la realtà intinge il pennello nel calamo dimostrandoci quanto spesso i suoi racconti superino in bellezza ogni sfaccettatura della nostra fantasia.
Si intravedevano perché era evidente a tutti: quel ragazzo aveva le stimmate del capitano.
Son qualità umane innate, prima che calcistiche.
Esultava come un tifoso rincorrendo il compagno andato a segno, il primo ad alzare la testa ed il tono della voce per difendere un amico, poche dichiarazioni ma di spessore, a difesa della sua favola; e ancora indicazioni tattiche e tecniche, carezze ai più giovani: un leader tutt'altro che silenzioso cresciuto fianco a fianco con il più grande calciatore della storia giallorossa.
La maglia tolta soltanto per lanciarla ai tifosi, non prima di averla baciata come fosse la più preziosa delle creature, il rammarico di poter dedicare soltanto una vita alla causa romanista: parole sincere, senza secondi fini, se non quello di chiamare a raccolta la sua gente.
Come un generale, come un grande capitano.
Dopo l'addio al calcio di Francesco, non siamo finiti in buone mani,
siamo finiti nelle migliori.
Tanti auguri, Daniele.
Gianvittorio De Gennaro - 'In The Box' per LR24