LAROMA24.IT (F. Baranello) - La storia della Roma non è certo una storia costellata di trionfi e di Coppe alzate al cielo, piuttosto è un susseguirsi e un continuo intrecciarsi di vicende sportive e umane: è la storia di una squadra di calcio e la sua città, dei suoi uomini e dei suoi tifosi. Alcune epiche, altre struggenti, altre ancora memorabili. Ma quello che accade nella stagione 1969/70 (quella, per intendersi, dello storico scudetto del Cagliari), è assolutamente grottesco.
Una stagione che vede la compagine giallorossa classificarsi all’11° posto in campionato e che registra anche l’eliminazione nei quarti della Coppa Italia ad opera proprio della formazione cagliaritana.
La Roma ottiene il “visto” per poter competere nella Coppa delle Coppe essendo la vincitrice della Coppa Italia nella stagione precedente e la nostra storia parte proprio da qui.
Si tratta della prima partecipazione dei giallorossi alla coppa riservata alle vincitrici delle coppe nazionali (istituita nel 1960) poichè quando la squadra capitolina vinse nel 1964 la Coppa Italia, la ripetizione della finale si svolse molto più tardi rispetto al momento in cui bisognava consegnare la lista dei partecipanti all’Uefa. Per tale motivo la massima autorità calcistica europea decise d’ufficio la squadra che avrebbe dovuto rappresentare l’Italia nella coppa delle Coppe e in virtù di un migliore piazzamento in classifica del Torino quest’ultimo ottenne la partecipazione al trofeo internazionale, mentre alla Roma fu offerta la partecipazione alla Coppa delle Fiere.
Al primo turno la Roma affronta i nordirlandesi dell’Ards: 0-0 a Belfast e 3-1 in casa con reti di Peirò e doppietta di Salvori. Al secondo turno invece di fronte c’è il Psv Eindhoven. All’andata all’Olimpico i giallorossi s’impongono 1-0 con rete di Capello su rigore. Nel ritorno è l’Eindhoven ad imporsi 1-0 sempre su rigore. Dopo i necessari tempi supplementari la situazione è immutata. I rigori non sono ancora un metodo per decidere chi passa il turno, è necessario tirare quindi la monetina.
Dal Corriere dello Sport del 27 11/69 “….Ora non resta che il sorteggio. Il campo, al fischio dell’arbitro , viene invaso da centinaia di ragazzi con bandiere biancorosse ed in questa atmosfera da bolgia dantesca attendiamo il fatale sorteggio. Alla fine la Roma vince per sorteggio. E’ stata fortunata ed è veramente giusto che tutto si sia concluso così, perché la Roma oggi ha dimostrato di essere superiore come tecnica, come grinta e come intelligenza ai biancorossi dell’Eindhoven”.
Ma chi di spada ferisce…..!
Ai quarti l’urna propone i turchi del Goztepe: 2-0 a Roma con reti di Cappellini e Landini e 0-0 in terra turca. La Roma ora è in semifinale e di fronte ha i polacchi del Gornik Zabrze.
L’andata si gioca tra le mura amiche il 1° Aprile del 1970 e la Roma si fa sorprendere da un battagliero Gornik che impatta 1-1 (rete romanista di Salvori). Dopo questo mezzo passo falso si va in Polonia per la gara di ritorno. Allo Slaski Stadion i tempi regolamentari finiscono ancora 1-1, un rigore per parte (per la Roma lo segna Capello).
Si rendono necessari quindi i tempi supplementari e dopo 4 minuti Lubanski porta in vantaggio i polacchi. Ormai le speranze sono ridotte al lumicino, ma al 119° minuto il miracolo: ”Scaratti si faceva luce. Un tiro da lontano. Un tiro che miracolosamente centrava il bersaglio. Era il 2 a 2 della sagra delle emozioni”(Cit. La Stampa 16 Aprile 1970).
A questo punto la storica quanto grottesca gaffe del telecronista Nando Martellini che annuncia che la Roma è in finale di Coppa delle Coppe. Dopo questo annuncio i tifosi si riversano per le strade a festeggiare l’accesso alla finale. Per le vie del centro è uno strombazzare continuo seguito dallo sventolio delle bandiere e dei vessilli giallorossi.
Un entusiasmo destinato a subire una doccia fredda: la regola del gol doppio in trasferta vale solo se le reti vengono realizzate entro i 90 minuti. È necessario quindi lo spareggio che si giocherà il 22 Aprile a Strasburgo. La serata inizia male: dopo qualche minuto di gioco un blackout all’illuminazione dello stadio rende necessario uno stop di 20 minuti. Poi ancora mezz’ora di stop per un secondo blackout. I primi 90 minuti finiscono ancora in pareggio per 1-1: reti del solito Lubanski e di Capello ancora su rigore. Si rendono necessari di nuovo i supplementari, ma anche questa volta finiscono con un nulla di fatto. Le squadre si radunano al centro del campo insieme all’arbitro e a tutti gli accompagnatori.
“Herrera aveva vinto poco prima dell’incontro la battaglia delle maglie e la scelta del campo per il calcio d’inizio, suggerendo a Peirò di scegliere testa. Il capitano ha fatto lo stesso nel momento più importante, quello che doveva decidere la sorte della finale di Vienna” (Cit. La stampa del 23 Aprile 1970).
L’arbitro chiede quindi un po’ di spazio per poter lanciare la moneta. Ad un certo punto i giocatori del Gornik cominciano a saltare festanti: la testa della moneta è la parte che bacia l’erba, la croce è rivolta verso il cielo. Quelli della Roma rientrano negli spogliatoi affranti. La moneta rende vani i sogni di gloria europea.