MATCH PROGRAM (T. RICCARDI) - 600 con il Frosinone o 600 al derby? Chissà. Non dipenderà da lui, ma dalle scelte dell’allenatore Di Francesco in questo momento così delicato per la Roma. 600 sono ad un solo passo. Oggi ne risultano 599, ovvero le presenze di Daniele De Rossi tra campionato e coppe con la Roma. 599 così distribuite: 446 in Serie A, 54 in Coppa Italia, 95 in Europa. 61 gol segnati in tutte le competizioni. Due Coppe Italia vinte e una Supercoppa decisa su rigore da lui (2007). 600 è una cifra tonda suggestiva, ma pure la traduzione in numeri di quello che ha rappresentato e continua a rappresentare il centrocampista biondo per questa squadra e per questa città. 600 è una soglia toccata e superata solo da un altro calciatore dal 1927, Francesco Totti. Gli altri tutti giù, distanti e distaccati dai “totem”. Sono stati contemporanei, compagni di squadra, l’uno al fianco all’altro per tante stagioni (16). Daniele esordisce il 30 ottobre 2001, in Champions League contro l’Anderlecht. Finisce 1-1. Subentra a Tomic nella ripresa. Maglia numero 27 sulle spalle e caschetto biondo come moda del momento. Diventerà il giocatore più presente in Champions League con la Roma. In Serie A, il debutto avviene la stagione dopo: 25 gennaio 2003, Como-Roma 2-0. E pensare che il primo piede dentro la prima squadra lo mette nella stagione del terzo scudetto, il 9 aprile 2001 per la trasferta di Firenze con la Fiorentina. “Quella partita dovevo andare in tribuna – ha raccontato negli anni successivi – Prima del match il dottore ci chiese dei medicinali presi, un mio compagno si era preso una cosa per il raffreddore e il dottore gli disse che rischiava di essere dopante. Capello era più interessato ai giocatori della prima squadra, si girò per dire di portare me. Perdemmo, girava voce che Capello fosse scaramantico, pensavo non mi avrebbe più portato. Abbiamo visto che grande allenatore è, ha smentito questa sua scaramanzia e mi ha tenuto fino a farmi diventare quello che sono”. Prima ancora di quella volta era stato raccattapalle a bordocampo. Appare pure per caso in un vhs dedicato a Francesco Totti del 1999. “Era una cosa che mi ero conquistato e ci tenevo particolarmente. Mi sentivo come a metà tra la curva e il campo. In quella zona di mezzo”. Perché lui la curva, il tifo, la città se l’è sempre sentiti addosso come un valore da portare dentro e mai da ostentare. “I tifosi sono quelli che mi hanno fatto innamorare del calcio. Da piccolo guardavo sempre la curva ammirato. E Rudi Voeller era il mio idolo”. Nato nel 1983, l’anno del secondo scudetto. Un romanista su twitter lo ha omaggiato così: “Se Totti è stato il più grande giocatore della Roma, De Rossi è stato il più grande romanista a giocare nella Roma”. La storia se la sente addosso. Il peso lo porta con sé. Lo ha dimostrato al fianco di Giacomo Losi – 455 presenze complessive con la Roma – in qualche uscita pubblica: “Io non l’ho visto giocare per ragioni di età, ma le sue gesta sono arrivate fino a noi. È doveroso rendergli omaggio”. S’è spinto oltre su Agostino Di Bartolomei, simbolo degli Anni 80: “È un capitano che non ho vissuto da tifoso, ma è quello a cui mi sono attaccato di più dopo. Volevo chiamare mio figlio Agostino. Ma mi ero giocato il jolly col nome della prima figlia e quindi l’accordo era che il nome doveva sceglierlo mia moglie. L’avrei chiamato Agostino De Rossi”. Quando nel 2006 segna alla Fiorentina, va ad abbracciare Giorgio Rossi in panchina, lo storico massaggiatore scomparso pochi giorni fa: “Mi accompagnava a trovare mia figlia mentre ero in ritiro. Parlammo tanto su come si fa il padre e come si tiene una famiglia. Giorgio lo voglio ringraziare per quello. Per tutto quello che ha fatto per noi in questi anni, non lo ringrazia il capitano della Roma, ma il ragazzino che a 17 anni era a Trigoria con lui”. De Rossi è romanismo camminante, esultante. È figlio natuale dell’urbe immortale. “Ho abitato per un paio di anni a Campo dei Fiori. È stato un periodo molto bello della mia vita. C’è il mercato, c’è Roma, c’è quel pizzico di confusione che a me piace”. Ma lui viene da Ostia, dal mare: “Ci torno sempre al mare quando posso. Lo guardo e mi dà sempre la soluzione. Rilassa ed esalta allo stesso tempo”. De Rossi, il mare di Roma. Basta vederlo come un ossesso dopo un gol. Stritola chiunque gli passi a tiro. Gli urla nelle orecchie. Difende il compagno di squadra bersagliato dalla critica in quel momento. Nel 2010, dopo un Milan-Roma, corre in soccorso del portiere Alexander Doni: “Ha pagato le follie di questa città. Qualche pappone che andava in giro per le radio a fargli terra bruciata intorno”. Parole che mandano in subbuglio l’etere e che continua a pagare con una minoranza di opinione (?) pubblica. Anno 2015, dal ritiro della nazionale risponde così a chi adombra di un possibile dualismo con Totti: “In questa città un po’ strana qualcuno ha provato a raccontare la storia di me e di lui contro, per dare forza alle sue tesi… Ma sono maiali col microfono e restano maiali col microfono”. Quando Edin Dzeko segna un gol vittoria all’Inter, nel 2016, De Rossi invita alcuni tifosi a leggere il nome sulla maglia e a smetterla con le critiche: “Quando fa gol lui siamo tutti un po’ più contenti perché soffre la situazione”. Una cosa simile la dichiara per Iturbe un annetto prima, dopo il derby di Iturbe e Yanga-Mbiwa. Proprio a proposito dell’attaccante, fa notare: “Questa città di commercialisti gli ha fatto pesare più volte quanto è stato pagato”. È sempre sul pezzo, De Rossi. Sempre in prima linea: “Non mi pentirò mai di aver difeso un compagno di squadra. Non mi pentirò mai di aver difeso la Roma”. Quando parla sembra un amico qualsiasi su una chat di whatsapp che ogni ora, ogni giorno manda quella notizia o quella dichiarazione sul momento della Roma. “Io prima sentivo tutte le radio e leggevo ogni giornale, con il passare del tempo ho mollato un po’ e sto meno appresso a tutte queste cose”. Ma è perfettamente al corrente delle diatribe tra stessi romanisti. Più volte ha fatto riferimenti a “chi tifa le radio e chi sostiene le società, Sensi o americani che siano”. Sa benissimo le leggende che sono state fatte circolare sulla barba lunga, per nascondere qualcosa sulla pelle: “Ma questa illazione non mi ha dato molto fastidio, penso che sia abbastanza leggibile come stronzata”. Dicembre 2017, dopo aver conquistato il primo posto nel girone di Champions: “Noi dobbiamo ringraziare di essere nati romanisti anche dopo i 7-1, anche dopo aver perso in casa contro il Napoli giocando male. Io ringrazio sempre di essere nato romanista. Ricordiamocelo quando le cose andranno peggio”. Ricordiamocelo oggi, dopo il pareggio con il Chievo e la sconfitta a Bologna. De Rossi rivendica sempre l’orgoglio di vestire questa maglia. A dispetto di tutti. Addirittura dopo il derby del 2007 vinto 3-2, dedica la vittoria a un tifoso della Lazio non meglio precisato: “Uno che ogni notte mi manda i messaggi per sfottermi. Lo saluto”. Lazio, stracittadina, rivalità. Capitolo a parte. Tanti gesti spontanei rivolti, urbani e meno. Mai un gol decisivo in un derby, purtroppo. Ma pensieri sempre costanti e sibillini. Dopo i cinque successi di fila, ad esempio: “Nemmeno il Real Madrid col Rayo Vallecano ha vinto tanto”. Nessuno mai l’amerà più di lui, la Roma. “Ho solo un rimpianto, quello di poter donare una sola carriera alla Roma”. “Giocare con il cuore per la Roma non me lo leverà nessuno, Rizzoli o Collina o la sua banda”. “Io sono troppo innamorato della mia squadra”. “Amo troppo la Roma, viene dopo mia figlia. Non è ruffianeria. Quando segno non posso fare le orecchie alla Toni, non ci riesco. Mi viene da baciarla, la Roma”. “Io ho bisogno della Roma per giocare a pallone in una certa maniera”. “La maglia della Roma me la levo solo per tirarla ai tifosi”. “Ho sempre una sorta di brivido quando indosso la maglia della Roma. La levo dalla stampella dentro lo spogliatoio. Anche se poi è diventata la normalità per me. Però poco prima di entrare, che la metto, è l’ultima cosa che faccio dentro allo spogliatoio. È come se mettessi un’armatura: non sempre funziona, non sempre è vincente, ma è quello che sento”. “Essere una bandiera della Roma è una responsabilità enorme che ti porti sempre addosso. Significa che non hai scelta. Che quando in passato ho avuto offerte o stavamo sull’orlo del fallimento o le cose non andavano, quando ti chiama semplicemente qualcuno non sei tu che rispondi, perché tu, io sono della Roma nel senso di proprietà della Roma, dei tifosi della Roma. Io Daniele De Rossi sono di proprietà dei tifosi della Roma”. Lui, Daniele De Rossi, è un romanista con talento nei piedi. E quasi 600 presenze da vantare come orgoglio.