Il primo passo

18/09/2011 alle 14:26.

LA REPUBBLICA (F. BOCCA) - Niente spettacolo e zero gol. Da Inter e Roma oggi non ci si può aspettare molto altro. Non sarà lo zero a zero



Nel primo tempo ha fatto meglio la Roma – che per altro a San Siro contro l’Inter andava in gol da 14 partite consecutive – nel secondo i nervi e la pressione hanno scosso un po’ l’Inter di Sneijder e Zarate, cercando un gol che la facesse uscire dal tunnel in cui si trova. Complessivamente comunque troppo poco, un calcio deludente: San Siro, sotto la pioggia, e con larghi spazi vuoti, sembrava quasi aspettarselo. Per affrontare la partita in cui si giocava la sua stessa panchina, Gasperini ha scelto di tornare a fare di testa sua, scegliendo l’impostazione di partenza e dunque il sistema di gioco con cui aveva esordito – perdendo – in Supercoppa a Pechino ormai quaranta giorni fa. E dunque la discussa difesa a tre – Lucio, Samuel e Ranocchia –, due esterni come Obi a sinistra e Nagatomo a destra, e Sneijder affogato sul centrosinistra a centrocampo, con Cambiasso e Zanetti al fianco, e Milito e Forlan in attacco. Sneijder è apparso molto nervoso, come se la partita gli pesasse addosso, lontano, lontanissimo dall’area di rigore della Roma, spesso sorpassato dallo stesso Cambiasso o addirittura dai lanci e dai contropiedi di Forlan. Francamente, pur cercando di capire le difficoltà di Gasperini, non si capisce perché l’olandese non possa giocare in una posizione più naturale ed efficace. Nel secondo tempo Sneijder si è ripreso il suo ruolo di trequartista: con beneficio per sé e per l’Inter stessa. Molto più sorprendente è stata la Roma, Luis Enrique ha ormai fatto dell’imprevedibilità il suo jolly. Non lo fa per stupire, ma per convinzione. Ha un’idea del calcio profondamente diversa dalla nostra: gli unici punti fermi sono il e cioè le tre punte, il possesso palla come filosofia di gioco, ma per il resto si può fare tutto. Anche schierare terzini due che terzini non sono come Taddei a sinistra e Perrotta a destra: i terzini veri disponibili, Rosi e Cassetti, li ha in panchina.




La Roma ha mostrato più personalità e un gioco anche più sofisticato rispetto a quello dell’Inter, costretta ad affidarsi quasi esclusivamente al contropiede. Nella Roma colpiscono molto posizione e gioco di Daniele De Rossi: parte molto da dietro, è allo stesso tempo un difensore aggiunto e il primo playmaker, quando la Roma avanza e imposta passa all’80% attraverso di lui. Al di là di qualsiasi considerazione tecnica è come se la regia della squadra sia passata da a De Rossi: il capitano deve correre e fare pressing in mezzo a Osvaldo e al giovane e sorprendente . Generoso e dispobile ogni tanto però sembra andare in affanno. Enrique comanda il pressing con veemenza, l’intenzione della Roma è quella di asfissiare il gioco dell’Inter sul nascere e in ogni parte del campo. E ci riesce.


Insomma si è avuta la sensazione di due stili di gioco opposti. La Roma ha tenuto il comando ma non ha prodotto occasioni in proporzione, qualche tiro sparso di Osvaldo, – decisamente il più frizzante davanti – una punizione di
. E’ quello che può capitare, sia detto senza blasfemia ma solo guardando la partita con la testa di Luis Enrique, anche al
. L’Inter è apparsa nettamente più indietro, con un gioco incompiuto e rudimentale: Forlan e Milito ci provano ma non fanno mai male. L’Inter è stata più pericolosa nel secondo tempo con Zarate (entrato al posto di Milito) e Sneijder in almeno in un paio di occasioni, quando l’Inter in attacco è stata ridisegnata (un centrocampista in meno e l’olandese dietro le punte). Mentre sicuramente complicherà ancora i rapporti di spogliatoio aver lasciato in panchina Pazzini, preferendogli Muntari per sostituire Forlan. Francamente incomprensibile.




Senza danni la sostituzione di Stekelenburg, olandese della Roma svenuto dopo soli 17’ per aver preso un calcio in faccia in uscita su Lucio: l’hanno portato in ospedale, tanta paura ma solo un punto di sutura e tac negativa. Meno male.