CORRIERE.IT (G. BIANCONI) - Ci sono i gol, di destro, di sinistro e di testa, e poi gli assist, i cucchiai e i colpi di tacco, a centinaia, sempre con la stessa maglia, gli stessi colori. Più che sufficienti a fare di un calciatore il simbolo di una squadra. Ma Francesco Totti è di più. Perché nel suo caso c'è dell'altro. C'è quello che ha rappresentato e continua a rappresentare fuori dal campo. Che l'ha fatto diventare un simbolo non solo della Roma ma di Roma
Roma è una città meravigliosa, con una tradizione come nessun'altra, carica di bellezze e difetti, che a volte può sembrare inadatta al ruolo attribuitole dalla storia, ma capace di riprendersi di fronte a ogni avversità mostrando sempre il suo lato migliore, di trasformare le proprie inadeguatezze in un di più che la rende unica. E dunque capitale.Sostituite la parola capitale con capitano, poi capitano con Totti, e avrete la spiegazione di come un territorio e il suo popolo possano immedesimarsi in un giocatore di pallone. Uno che nelle interviste, quando gli chiedono come andavi a scuola, prima risponde «a volte con l'autobus, a volte col motorino», e poi, tornando serio: «Normale». E da piccolo com'eri? «Un paraculo», e subito spiega: «Non mi fermavo mai... socievole... un po' pigro», ma in tutt'altro senso da quello che intendeva un prossimo dirigente della nuova Roma bostoniana. Semplicemente, Totti ha descritto un carattere piuttosto diffuso tra i romani.
Una volta gli hanno domandato se prevedeva per sé un futuro impegno in politica, e candidamente ha risposto: «No, nun ce capisco gnente ». Beata sincerità. Se molti di quelli che hanno intrapreso quella carriera si fossero prima guardati dentro con altrettanta franchezza, la politica italiana sarebbe meno affollata di personaggi poco all'altezza.
Francesco Totti è uno che prende in giro se stesso prima degli altri, capace di passare improvvisamente dallo scherzo a considerazioni serie, tanto per mettere a posto chi pensa di deriderlo per le proprie scelte: come quando, in un'intervista televisiva, fu chiamato a specificare come si scrivono i nomi dei suoi figli, Cristian e Chanel. «E come farai a spiegare loro che in un caso c'è l'h e nell'altro no?». Totti guardò un po' incredulo lo spiritoso conduttore e ribatté: «Penso che ci saranno cose più importanti da spiegare».
Il capitano della Roma, milionario come tutti i campioni del calcio moderno, è riuscito a trasformare il suo modo di essere in un business , un marchio che si può vendere fino all'altro capo del mondo. Come la statuetta del Colosseo. Sulla sua storia d'amore con Ilary sono fiorite dicerie di ogni genere, ma lui in pubblico ha sempre reagito con quel sorrisetto scanzonato capace di spiazzare chiunque: «'Na volta c'ho l'amante io, 'na volta lei, c'è tanta gente invidiosa che parla a vanvera». Quando ancora la corteggiava, dopo uno dei suoi gol più belli alla Lazio (l'ultimo di un derby vinto 5-1), corse sotto il settore dov'era seduta la futura moglie per mostrarle la maglietta con la scritta «6 unica». E Ilary come reagì? «Manco se n'è accorta», ha raccontato lui col solito ghigno impertinente. Come un romano soddisfatto di avere conquistato la donna desiderata.
Un'altra maglietta famosa è quella rivolta ai laziali dopo il solito gol, «Vi ho purgato ancora», e ancora se ne parla. Così come si parla e si continuerà a parlare del calcione rifilato a Balotelli che lo derideva: un errore grave, ma chiunque ha giocato a pallone ha capito tutto di quel momento. O del gesto con la mano rivolto alla panchina della Juventus: «Ne avete presi quattro, zitti e andatevene», disse senza parlare. Delle lacrime dopo lo scudetto perso all'ultima giornata nel 2010, e delle accuse lanciate dopo quello sfumato nel 2008 per qualche «svista» arbitrale di troppo. Tutto fatto con la scioltezza e la strafottenza di un personaggio a volte schivo e a volte sbruffone, un po' Pasquino e un po' Marchese del Grillo. E un po' il Catone interpretato da Vittorio Gassman, che ammonisce Marcello Mastroianni nei panni di «Scipione detto anche l'Africano»: «Questa non è l'ideale Repubblica di Platone, ma la città fangosa di Romolo. Bisogna che te dai 'na calmata ! ». Da tempo c'è chi ironizza consigliando al capitano della Roma, che ormai sarebbe avviato sul viale del tramonto come calciatore, una carriera di attore visti i successi degli spot pubblicitari in cui lui e Ilary sembrano ripercorrere le orme di Raimondo e Sandra in «casa Vianello». A parte il fatto che quel tramonto è forse la speranza di avversari e invidiosi ma non ancora la realtà, e a parte gli scherzi, davvero non si fa troppa fatica a immaginare la faccia di Francesco Totti in certi pezzi di Alberto Sordi o Nino Manfredi. Simboli di Roma pure loro.
Tutto questo conviene tenere a mente a fronte delle polemiche e delle divisioni che hanno scaldato l'inizio della nuova gestione dell'Associazione Sportiva Roma intorno al nome del suo capitano. Una questione di campo, esplosa dopo un'esclusione e una sostituzione sbagliate e alimentata da tante parole. Forse troppe, nel silenzio di Francesco Totti. Chi è coinvolto, sappia che non è solo un problema di calcio.
P.S. Per quanto riguarda la vicenda calcistica, è certo che bisogna fare le scelte giuste nell'interesse della Roma, prima di quello di Totti. Ma sono quasi vent'anni che i due interessi coincidono. Per separarli bisogna prima dimostrare che non coincidono più, e finora non è successo. Anzi.